tag:blogger.com,1999:blog-31909482657021482022024-03-19T11:42:17.458+01:00IdRNicFiIl Blog del prof di religione Nicola Fiorini Scuola Secondaria di Primo grado Sommariva di Cerea (VR)Unknownnoreply@blogger.comBlogger399125tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-40665198258858110672016-02-21T22:21:00.003+01:002016-02-21T22:25:13.548+01:00Il grande silenzio<span class="testo">Al regista Philip Groning é stato concesso
il permesso di girare un film sulla vita dei monaci. Per quattro mesi,
tra la primavera e l'estate del 2002, Groning ha vissuto nel monastero e
ha seguito i monaci con la telecamera. Ha messo insieme una grande mole
di materiale (circa 120 ore) dal quale sono tratti i 160' di questo
viaggio in una realtà appartata e umile, densa di suggestioni. Lo
sguardo di Groning é timido, leggero, quasi impaurito. E con lui, anche
noi, piccoli ingranaggi dalla vita frenetica, siamo invitati ad
assaporare quel silenzio, a ridare valore agli oggetti, alle nude
pareti, agli elementi naturali, a un crocefisso ligneo che restituisce
la semplice centralità dell'essere umano, creato a somiglianza di Dio.
Alcuni canti, i rintocchi della campana, i momenti della meditazione, la
neve che crea divertimento e imbarazzo. La preghiera lega insieme il
trascorrere delle ore, allarga gli spazi, amplia gli orizzonti. Ne esce
un film da vedere all'inizio con qualche comprensibile 'fatica' (é anche
un esperimento di 'linguaggio' filmico) ma poi lasciandosi andare al
flusso delle immagini, alla sensazione di 'toccare' qualcosa di
intangibile ma di totalmente nostro. E questa condizione allora non é
più quella del 'silenzio' ma quella di una voce altissima, di dolore, di
comprensione, di speranza di salvezza. </span><br />
<br />
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/5zJm6uYBgWs" width="420"></iframe><br />
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<span class="testo"> <iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/SdkFg7XNQ6Q" width="420"></iframe> </span><br />
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<span class="testo"> <iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/ip9KmohqxDg" width="420"></iframe> </span><br />
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<span class="testo"> <iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/3HkXycEMA8k" width="420"></iframe> </span><br />
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<span class="testo"> <iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/kvaOnnoNsm8" width="420"></iframe> </span><br />
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<span class="testo"> <iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/ErrY4aOgtfA" width="420"></iframe> </span><br />
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<span class="testo"> <iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/1dXNqtfSUq0" width="420"></iframe>
</span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-48744725450255659662016-02-17T18:04:00.001+01:002016-02-17T18:04:25.867+01:00I cappellani militari durante la Grande Guerra<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/_qpT67z12hA" width="420"></iframe><br />
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I cappellani militari, o “soldati di Dio” come qualcuno li ebbe a definire, furono a tutti gli effetti tra le figure più importanti e significative della Grande Guerra. I soldati trovavano nel proprio cappellano un prezioso confidente, un ponte tra l’orrore della guerra e i ricordi della propria terra o della propria famiglia; una speranza tra la violenza e la morte. Grazie alla figura del cappellano, il soldato poteva sentirsi al riparo dai turbamenti che la guerra procurava. Il richiamo alla dimensione religiosa era spesso in grado di attenuare o perfino annullare i sentimenti negativi. <br />
da RAI STORIA<b></b><i></i><u></u><sub></sub><sup></sup><strike></strike>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-62805907203605734122016-02-16T15:12:00.000+01:002016-02-17T16:51:49.727+01:00La chiesa e i cattolici durante la Grande Guerra<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/5Q0uTRQne0s" width="420"></iframe>
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3 settembre 1914: Giacomo della Chiesa, nominato cardinale di Bologna da soli 3 mesi, viene inaspettatamente eletto papa con il nome di Benedetto XV. La guerra è alla vigila di una delle sue svolte decisive, la battaglia della Marna. Da subito il nuovo pontefice denuncia la follia del conflitto e immediatamente si adopera per cercare di limitarne l’estensione e per promuovere le condizioni di un pace rapida, senza vincitori né vinti. I suoi appelli restano inascoltati. Nel frattempo il cattolicesimo italiano, in gran parte neutralista, non riesce a fare fronte comune con le altre forze contrarie all’intervento, socialisti e liberali giolittiani, per mantenere l’Italia fuori dalla guerra. Nel filmato interviene lo storico Alberto Melloni. <br />
da RAI SCUOLAUnknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-54120764886657482122015-11-15T22:58:00.001+01:002015-11-15T23:00:23.228+01:00Lo spot di Natale 2015 di John Lewis e la solitudine degli anziani <iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/wuz2ILq4UeA" width="420"></iframe><br />
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Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-86882700353895004262015-11-03T21:58:00.002+01:002015-11-03T21:58:52.195+01:00L'acrobata (Chagall)<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/xG4rwk305tI" width="420"></iframe>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-51322152968333212682015-11-03T21:07:00.001+01:002015-11-03T21:07:23.785+01:00Annunciazione (Beato Angelico)<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/Wk6thXgbP_8" width="420"></iframe>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-34521598988874718692015-11-03T21:05:00.001+01:002015-11-03T21:07:32.932+01:00Il bacio (Klimt)<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/8Y501fLpp1I" width="420"></iframe>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-6894854812361879752015-10-16T15:48:00.001+02:002015-10-18T17:43:44.856+02:00Lazzaro (Subsonica)<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/HjfxLjdR1Bg" width="400"></iframe><br />
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Quando si parte per un viaggio, quando si comincia un'esperienza nuova, è indispensabile conoscere le risorse che si hanno a disposizione, 'le cose che ci portiamo dietro'. É utile, cioè, parlare della responsabilità 'riflessiva', quella nei confronti di se stessi; tutti devono conoscere le proprie qualità e i propri talenti; da lì devono partire per crescere, cambiare, affrontare la vita.<br />
La canzone sembra riprendere metaforicamente il Vangelo attraverso la frase <b>Alzati e cammina</b>, spesso attribuita a Gesù e spesso in relazione alla risurrezione di Lazzaro, ma che in realtà non è mai stata effettivamente pronunciata. La citazione, però, anche se errata, è funzionale al senso complessivo: ciascuno di noi deve avere il coraggio e la forza di uscire dal 'guscio' ed affrontare la propria vita (Lazzaro, vieni fuori!) (Gv. 11,43). <br />
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Ecco il testo della canzone:<br />
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Alzati e cammina per scoprire di essere vivo come non mai<br />Lazzaro stamattina<br />e resuscita un pezzo alla volta la volontà<br />ora che sei un’emozione scaduta<br />ora che sei una certezza tradita<br />ora che sei un’ambizione svenduta<br />chiuso nel tuo sepolcro<br />quello che avevi oggi non vale più<br />hai studiato, creduto, lottato e sofferto<br />c’era un sorriso negli occhi che non c’è più<br />col futuro qualcuno ha giocato d’azzardo<br /><br />alzati e cammina per scoprire di essere vivo come non mai<br />Lazzaro<br />stamattina e resuscita un pezzo alla volta la volontà<br /><br />ora che sei una protesta ammaestrata<br />ora che sei una carezza svogliata<br />ora che sei una speranza piegata<br />chiuso nel tuo sepolcro<br /><br />alzati e cammina<br />per scoprire di essere vivo come non mai<br />Lazzaro<br />stamattina e resuscita un pezzo alla volta la volontà<br />un pezzo alla volta<br />un pezzo alla volta<br /><br />ci hai creduto oggi c’è un più<br />hai discusso sprecato amato sofferto<br />un’ipoteca sulla tua dignità<br />sei un crudele silenzio delle notti insonni<br /><br />alzati e cammina<br />per scoprire di essere vivo come non mai<br />Lazzaro<br />stamattina e resuscita un pezzo alla volta la volontà<br />un pezzo alla volta<br />un pezzo alla volta<br /><br />c’era un volta non c’è più<br />mentre l’unica che resta davvero sei tu <br />
<i><br /></i>
<i>(da Insegnare Religione, n. 1 2015/16, di Gabriella Cappelletti)</i><br />
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<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-27200942605892555202015-08-13T17:10:00.000+02:002015-10-03T22:24:08.630+02:00Occhi aperti sulle “Auschwitz” dei nostri giorniEra uno dei 70.000 ebrei della città di Vilnius. Sono tornati in duecento. Samuel Bak aveva undici anni ed è tornato stringendo il braccio a sua madre, il tesoro più prezioso che gli fosse rimasto. Tali cifre inquietanti sono un nulla se confrontate con i 44 milioni di aborti praticati in Europa nel 2014. Così, nell’anniversario dell’uccisione di Massimiliano Kolbe, morto ad Aushwitz per salvare un padre di famiglia, impressiona guardare alcuni dipinti di Samuel Bak. Uno, dal titolo Il cielo era il limite, racconta di orsacchiotti, gioco intramontabile per i bambini di ogni generazione, che giacciono inermi come anelanti al cielo. L’orizzonte è precluso da un alto muro di mattoni e il brandello di cielo che lascia intravvedere si riflette drammaticamente in una tela, posta su un cavalletto rudimentale.<br />
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<img alt="Bak_riva1_47281488.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/Bak_riva1_47281488.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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Quegli orsi di peluche sono la memoria dei bambini che non sono più. Essi suonano come denuncia e monito verso noi adulti che guardiamo. Alcuni orsi sono irrimediabilmente sepolti dall’erba. Si sono lasciati annegare da quel mare di rabbia. Non c’è odio nelle loro espressioni, ma solo desolazione. Altri sono colti nell’ideale sforzo di sollevarsi, di cercare ancora - oltre quel cielo di cartone - il barlume della speranza. In un'altra opera, dal titolo Interruzione, il cielo non c’è. Esiste solo l’orsetto abbandonato tra giochi immoti che non possono più divertire. È colpito al cuore e l’unico cielo rimasto è quello stampato sul volto. Lo sguardo fisso nel vuoto denuncia un gioco interrotto che non sarà mai più ripreso. <br />
Nella prima opera di Bak, sul cavalletto - dietro all’orso più grande, ancora sorridente, al quale si appoggia un orsetto più piccolo in cerca di protezione - si distingue il profilo di una chiesa. Non pare una Chiesa capace di dare speranza, il suo colore è lo stesso degli orsacchiotti. Sale dal nulla, quasi a volere ostinatamente sperare in quel Cielo, rimando a un Dio rimasto apparentemente muto di fronte a tanta violenza.<br />
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<img alt="Bak_riva2_47281527.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/Bak_riva2_47281527.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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Anche noi durante l’estate, nei giorni di vacanza abbiamo la possibilità di contemplare quel cielo. Molti di noi giacciono sdraiati su una sabbia o un prato simile a quelli dipinti da Bak: come non pensare a quei 44 milioni di bambini che non vedranno mai il cielo? Bimbi che non hanno potuto nemmeno, similmente a Samuel Bak, stringere il braccio della madre per trovarvi rifugio? La madre, per loro, fu luogo di vita e di morte. Forse la riflessione parrà di cattivo gusto, messa lì bell’apposta per rovinare le vacanze. Ma queste ultime, per i più attenti, sono già state rovinate il 16 luglio scorso quando è esplosa la notizia del mercanteggio di feti. Estratti con cura (morti) dal grembo della madre, i feti sono smembrati e gli organi venduti. Tanta gratitudine allora a Samuel Bak che ci ricorda di tenere gli occhi aperti, molto bene aperti, perché, con il nostro tacito consenso, Auschwitz continua e le vittime non sono solo ebrei.<br />
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<strong>Immagini</strong><br />
Samuel Bak, Il cielo era il limite, olio su tela, 2001 cm. 36 x 36 " Collezione Privata<br />
Samuel Bak Interruzione, olio si tela, cm 24 x 20 Collezione Privata<br />
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<i>da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza</i>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-42601696533596230262015-08-06T17:04:00.000+02:002015-10-03T22:24:50.781+02:00Trasfigurati con Lui in una mandorla di luceNon è un uovo quello che incornicia il Cristo trasfigurato del Beato Angelico, ma una mandorla di luce. Chi non ha avuto occasione di notare opere in cui Dio Padre, o Cristo, o la Madonna stanno dentro una mandorla? O ancora: chi, sposandosi, non ha regalato confetti alla mandorla? La forma della mandorla, prodotta dall'intersezione di due curve dello stesso diametro, rappresenta l'unione tra cielo e terra, fra spirito e materia. Essa rimanda anche alla forma del pesce e di tutti gli orifizi umani: occhi, bocca ma anche alla vescica, non a caso il nome tecnico assegnatole nell'arte è vesica piscis. In tal senso la mandorla è rimando alla vita e alla fecondità femminile; per questo, nei matrimoni, invalse l'uso di regalare dolci a base di mandorle ricoperte di zucchero bianco, simbolo della verginità della sposa destinata a diventare feconda grazie alle nozze.<br />
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<img alt="Fra_Angelico_042.jpg" class="ms-rtePosition-2" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/Fra_Angelico_042.jpg" style="height: 356px; margin: 5px; width: 300px;" /><br />
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Nel Convento di san Marco in Firenze, per accedere alla cella n° 6 si passa di fronte alla Madonna, detta delle ombre, dove la Vergine seduta in trono indica il Cristo Bambino benedicente con il mondo in mano. L'antico monaco che, lasciando la luce dell'abito del divino Infante, entrava nella cella n°6, contemplava un altro abito candido, quello del Cristo trasfigurato che, pur nel fulgore della luce da risorto, apriva le braccia in croce. Solo il beato Angelico ha saputo fondere così sapientemente l'evento della trasfigurazione con la crocifissione, insegnando ai monaci che le sofferenze, se sopportate con Cristo, portano a una vita nuova e a una gloria duratura, come gloriosa appare la mandorla che avvolge il Cristo trasfigurato.<br />
La mandorla, come la noce, per il suo guscio di legno che cela una polpa candida e per il suo sapore, che nella dolcezza del frutto conserva un gusto amarognolo, evoca il legno della croce che ci ha dato il frutto buono della risurrezione. E noi siamo lì, idealmente rappresentati dai tre discepoli che nella postura raccontano il loro destino. Pietro, a destra, in ginocchio a mani levate, rappresenta quanti, pur scelti per un ministero, fanno esperienza della loro fragilità. Giacomo di spalle, mentre si fa scudo con la mano per proteggersi dal bagliore del Cristo, è vicinissimo ai piedi del Maestro: egli indica quanti in una vita breve e sofferta seguono da vicino le orme di Gesù. Giovanni disegna il profilo degli assetati di verità: è l'unico che guarda il Mistero e tende le mani verso di esso quasi volesse abbeverarsi alla sua luce. Se rompere la mandorla porta al frutto, andare oltre la croce porta l'uomo al compimento di un destino buono che proprio la sofferenza rivela.<br />
<b></b><i></i><u></u><sub></sub><sup></sup><strike></strike><br />
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<i>da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza</i>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-60324714741332180732015-07-30T16:58:00.000+02:002015-10-03T22:26:04.118+02:00Le nostre vanità come bolle di sapone al ventoUna mistica, poco conosciuta ma di grande spessore umano e religioso, vissuta al tempo di san Giovanni Bosco e fondatrice delle Adoratrici Perpetue di Monza, Madre Serafina della Croce, un giorno ebbe una singolare visione. Mentre era in estasi, sotto lo sguardo delle consorelle che tutto annotarono diligentemente, madre Serafina prese a fare delle bolle di sapone protestando a Gesù, e a chi l’ascoltava, che tale è il nostro amore e la nostra fedeltà verso Dio e gli uomini. Certo Madre Serafina, che come Caterina da Siena era analfabeta, non poteva sapere quanto fosse in auge la bolla di sapone nell’arte. Innumerevoli opere la ritraggono suggerendo spesso significati reconditi e legati al tema della vanitas. Sì, vanità delle vanità, tutto è vanità. Tali soggetti, spesso non religiosi, mettono in guardia l’uomo dal promettersi troppo repentinamente a una vita senza valori né spessore. <br />
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<img alt="riva1_47054266.jpg" class="ms-rtePosition-1" src="http://www.avvenire.it/rubriche/SiteAssets/Pagine/Dentro%20la%20bellezza/Le%20nostre%20vanita%20come%20bolle%20di%20sapone%20al%20vento_20150730/riva1_47054266.jpg" style="height: 451px; margin: 5px; width: 300px;" /><br />
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Lo fa, ad esempio, il pittore francese Charles Joshua Chaplin, maestro della più celebre Mary Cassat, ritraendo una fanciulla seduta, intenta a fare bolle di sapone. La scena evoca quello che accadde nel Convento monzese solo una quindicina d’anni prima del dipinto e, dietro all’apparente ritratto, si celano ulteriori significati. In primo piano sta anzitutto un arcolaio, rimando allusivo alla femminilità, accanto vi troviamo un fuso che, invece, ha un significato negativo, di violazione della femminilità stessa (è spesso attributo delle donne di malaffare). La ragazza, bellissima nel suo candore verginale, è in attesa del ballo che forse la prometterà al principe azzurro, ma ancora indugia nel gioco preferito della sua fanciullezza: le bolle di sapone. Quelle bolle salgono verso l’alto andando a infrangersi davanti all’ombra di una finestra proiettata sul muro, l’ombra di una croce. Il contrasto, tra la rappresentazione pittorica piena di poesia e il significato amaro, è forte: con esso il pittore vuole mettere in guardia i contemporanei di fronte alle allettanti prospettive di piaceri che, se non ben governati, sfociano nella croce. Non faccio fatica a riconoscere in questo ritratto buona parte della nostra patria che ancora si trastulla nella sua antica libertà e nell’ingenua attesa di un Principe azzurro che la tolga dai guai. Invece, come amava ripetere Madre Serafina, che visse nelle turbolenze risorgimentali: chi gioisce è l’amore, ma chi trionfa è la croce. Sì, ciò che ci salva è davvero solo la croce che, nel panorama quotidiano, rimane ahimè solo come un’ombra o come sfondo alle notizie divulgate dai mass media sui martiri cristiani.<br />
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<img alt="riva2_47054267.jpg" class="ms-rtePosition-2" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/riva2_47054267.jpg" style="height: 200px; margin: 5px; width: 300px;" /><br />
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Un altro artista, Ignaz Stern, di origine austriaca e molto attivo in Italia, dipinse un delicato Cupido che, circondato da rose, soffia acqua saponata dentro una cannuccia, producendo meravigliose bolle trasparenti. Anche qui la dolcezza dell’amorino e la vaporosità dei fiori, s’infrangono di colpo, di fronte alla visione di un teschio sopra il quale Cupido poggia l’avambraccio destro. Il teschio è rimando a quella morte che decreta la fine di tutte le cose, anche le più belle, rendendole appunto vane. Il messaggio allora è chiaro: solo Cristo con la sua croce cambia il volto della morte e, annientandola con la risurrezione, restituisce alla bellezza delle cose terrene il suo carattere sacro e imperituro. <br />
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<span style="font-family: Cambria;"><br />Immagini: <i>Charlie Joshua Chaplin Le bolle di sapone olio su tela 1881 Collezione Privata</i></span></div>
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<i><span style="font-family: Cambria;">Ignaz Stern (detto Ignazio Stella) 1679-1748 Vanitas con Cupido Collezione Privata</span></i></div>
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<i><span style="font-family: Cambria;"><br /></span></i></div>
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<i><span style="font-family: Cambria;">da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza</span></i><b></b><i></i><u></u><sub></sub><sup></sup><strike></strike></div>
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Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-47096076694833667792015-07-23T16:52:00.000+02:002015-10-03T22:26:35.839+02:00Santa Brigida e la birra, che il brindisi sia spiritualeErano darwinisti anche gli antichi sumeri, visto che, nell'epopea di Gilgamesh, il mostro scimmiesco Enduki, diventa uomo grazie a un pasto a base di pane e birra. La birra ha, in effetti, una storia gloriosa e non sono rare le leggende e gli episodi che la collegano al divino. A differenza del frumento, simbolo di fertilità, l'orzo è sempre stato direttamente collegato con le realtà divine e spirituali. La birra dunque, alimento dorato, quasi una bevanda degli dei ottenuta dalla fermentazione dei semi d'orzo, ha assunto il ruolo, nell'immaginario dei popoli, di bevanda sacra che apre la mente alle cose divine. Contro la visione di una Chiesa oscurantista e chiusa ai piaceri della tavola s'impone una storia antica che ha fatto della birra una delle bevande più fabbricate nell'Europa cristiana. Nei luoghi dove la vite difficilmente cresce, per climi e altitudini, ecco che la birra occupò un posto d'onore. Non sono pochi i santi e i monaci che si resero famosi grazie al loro rapporto con questa bevanda. <br />
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<img alt="riva1.jpg" class="ms-rtePosition-1" src="http://www.avvenire.it/rubriche/SiteAssets/Pagine/Dentro%20la%20bellezza/Santa%20Brigida%20e%20la%20birra%20%20che%20il%20brindisi%20sia%20spirituale_20150723/riva1.jpg" style="height: 425px; margin: 5px; width: 400px;" /><br />
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Mi piace pensare a Santa Brigida, non quella di Svezia patrona d'Europa, ma quella di Kildare, in Irlanda, la quale, come attesta il Breviario di Aberdeen, fece spillare «birra da un solo barile per diciotto chiese, in quantità tale che bastò dal Giovedì Santo alla fine del tempo pasquale». Nella nostra Italia, a Trescore, dove il Lotto a servizio dei Suardi affrescò una delle cappelle più simboliche nel panorama cinquecentesco, un affresco raffigura la Santa che compie vari miracoli. In primo piano Santa Brigida benedice dei pani e due barili di acqua che, sotto lo sguardo attonito della fanciulla che li reca, diventano birra. Questo novello miracolo di Cana rimase così impresso nella mente degli Irlandesi che una benedizione, attribuita alla Badessa, recita così:«Vorrei un lago di birra per il Re dei Re. Vorrei che la famiglia celeste fosse qui a berne per l’eternità. Vorrei che ci fosse allegria nel berne. Vorrei anche Gesù qui».<br />
<b></b><i></i><u></u><sub></sub><sup></sup><strike></strike>Molti monaci consacrarono la loro vita alla fabbricazione della birra che assunse appunto il ruolo simbolico di bevanda che conduce a pensieri alti, rendendo l'uomo più sensibile al mistero. Dietro alcune nature morte in cui compare la birra, sorte soprattutto in ambito olandese, vi sono insegnamenti di natura morale. In questa natura morta di Jan Jansz van de Velde, ad esempio, un boccale di birra, altissimo, sovrasta su altri elementi estremamente simbolici. Vino, carte e pipa, alludono alla vita consumata dentro vizi e giochi d’azzardo, mentre le lenticchie simboleggiano la fortuna che può arridere a persone che si consegnano a un siffatto modus vivendi. Una corda bruciata, però, accanto alle nocciole, suona come monito, invitando a verificare la fragilità di tali fortune. Le nocciole poi, sono un antico simbolo di saggezza e di preveggenza rispetto alle scelte della vita. <br />
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<img alt="riva2.jpg" class="ms-rtePosition-2" src="http://www.avvenire.it/rubriche/SiteAssets/Pagine/Dentro%20la%20bellezza/Santa%20Brigida%20e%20la%20birra%20%20che%20il%20brindisi%20sia%20spirituale_20150723/riva2.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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Quindi il bicchiere di birra che si eleva sopra tutto invita a puntare lo sguardo su valori più alti, a orientare bene le scelte anche nei momenti di svago, senza abbandonarsi a piaceri facili e fallimentari. Volesse il Cielo che anche i nostri contemporanei, in questo tempo vacanziero, voraci consumatori di birra, potessero, attraverso questa bevanda, diventare più spirituali. Sette boccali hanno reso umana la scimmia Enduki, possano altrettanti bicchieri di birra restituire all’uomo postcontemporaneo quell’anima spirituale che sembra aver perduto, donandogli di scorgere nelle cose della terra il legame profondo con il Signore del Cielo. <br />
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<i>Immagini</i><strong>Lorenzo Lotto</strong>, Cappella Suardi, 1524, Storie di Santa Brigida. Affresco della parete destra (sud) Trescore Bergamo <br />
<strong>Jan Jansz van de Velde </strong>III Natura morta con pipa bianca e birra 1653 olio su tela cm 43,3 x 40,5 Ashmolean Museo di Arte e Archeologia Università di Oxford <br />
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<i>da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza</i><b></b><u></u><sub></sub><sup></sup><strike></strike>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-73071942716501916922015-07-19T11:10:00.001+02:002015-10-03T22:27:14.580+02:00I nostri peccati e la Madonna lavandaia tra le rocceLa festa della Vergine del Carmelo sigilla idealmente il viaggio del Papa in America Latina. E proprio in America Latina troviamo un dipinto singolare dal titolo la Virgen Lavandera. Il monte Carmelo domina la valle di Iezreel come una promessa d'acqua e di fertilità e l'acqua è l'elemento più comune ai santuari mariani.
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<img alt="gloriaz1_46921845.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/gloriaz1_46921845.jpg" style="margin: 5px;" />
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Non sono rare, nell'arte, le Madonne col Bambino incorniciate da un paesaggio rupestre e fertilissimo. Qui, la Sacra famiglia, è colta nel momento della sosta, durante la fuga verso l'Egitto. Il paesaggio è tutt'altro che orientale: sullo sfondo si nota uno sperone roccioso tipico delle montagne andine, ma l'interesse dell'artista è concentrato sul gesto domestico del bucato.<br />
La Madonna, con il cappello a tesa larga e il caratteristico poncho andino, sta lavando i panni. Mentre strofina vigorosamente il sapone sulla biancheria, sorveglia il sonno del Figlio. Anche san Giuseppe è impegnato in tale faccenda quotidiana: ha appeso una camicia bianchissima ad asciugare ed ora, con l'aiuto di un angelo, si appresta a dare alla sposa un mantello rosso. Altri due putti corrono in aiuto alla Sacra Famiglia: uno tiene a bada il piccolo Gesù, il secondo corre a riempire una brocca alla fonte d'acqua. E, fin qui, nulla di strano se non la singolarità del soggetto iconografico; tuttavia, guardando più a fondo, vediamo l'espressione sorpresa del putto che sta contemplando Gesù con un telo candido sul braccio. Il sonno del divino Infante è prefigura di quel sonno mortale che lo coglierà dopo la passione e il putto medita attonito sull'accettazione della morte da parte del Figlio di Dio.<br />
Per una tale morte siamo salvati dalla morte ultima, cosicché il lavaggio che impegna i genitori è quel lavacro di acqua e spirito che dispensa la Chiesa per salvare i suoi membri. Grazie ai meriti di Cristo, e della Madre sua, se anche i nostri peccati fossero rossi come scarlatto (scrisse Isaia) diventeranno bianchi come neve. Non a caso il patriarca regge un drappo rosso mentre steso c'è un indumento candido! Anche il putto in primo piano tiene una brocca rossa e guarda a Cristo, unica fonte di salvezza.<br />
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La Chiesa, come Maria, mediante l'acqua del Battesimo compie nel mondo un'azione salvifica, ma quell'acqua non avrebbe alcun potere se non fosse stata fecondata dal corpo di carne del Verbo, seconda persona della Trinità. Oggi si fa un gran parlare di misericordia, ma forse meno facilmente si ricorda che una tale grazia è frutto di un reale sacrificio e che il lavacro in cui siamo immersi, mediante i sacramenti della Chiesa, è frutto del sangue del Redentore versato sulla croce.<br />
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<strong>Immagini:</strong><br />
Melchor Perez Holguin 1701-1800 Virgen Lavandera olio su tela 1,2x1,84 m. Museo Nazionale d’Arte (La Paz, Bolivia)<br />
Leonardo da Vinci, Vergine delle rocce 1483-1486, olio su tavola 199×122 cm Musée du Louvre, Parigi<br />
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<em>da Avvenire, rubrica Dentro la bellezza</em>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-48708368930435670252015-07-14T23:23:00.001+02:002015-07-14T23:23:33.870+02:00Religioni in cammino<script height="435px" src="http://player.ooyala.com/iframe.js#ec=F5aHR4dTob1y4-cHP5qNzXITGcq1vPVW&pbid=6e12e8b3387a44daacfb73afba25a76e" width="460px"></script><br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-53331352233575433492015-07-09T12:25:00.000+02:002015-10-03T22:27:46.538+02:00Se oggi manca il desiderio del calice di salvezzaIl Calice dell’Ultima Cena, il leggendario Graal, non raccolse solo il vino dell’Alleanza Nuova, ma anche il Sangue del Redentore versato sulla croce. L’arte non mancò di mettere a fuoco quest’oggetto simbolico consegnandolo nelle mani di Gesù fin dalla più tenera età.<br />
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<img alt="rivacz1_46845575.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/rivacz1_46845575.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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A Budapest si trova una singolare Madonna del vino di Joos van Cleve, dove la Vergine Madre, offre al piccolo Gesù, un calice di vino. Mentre la Madonna veste abiti sontuosi e invernali il bimbo è interamente nudo, come sarà nudo nell’ora della croce. Anche il movimento dei piedi allude alla sua volontà ferma di salire sulla croce per la nostra salvezza. Il contrasto fra la nudità del Figlio e l’abbigliamento della Madre vuole affermare la dimensione profetica del gesto materno. Gesù sorseggia quel vino senza imbarazzo, serio nello sguardo, esprimendo così la prontezza al sacrificio cui quel vino allude..<br />
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Una bella tela della Scuola di Guido Reni ritrae la Sacra Famiglia a tavola. La scena è tenerissima e del tutto domestica: Gesù siede fra Giuseppe e Maria a una tavola rotonda, rimando alla dimensione eterna di quella mensa. Gesù e la Madonna vestono il medesimo colore rosso perché, come scrisse Tertulliano, Caro Christi, caro Mariae.<br />
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<img alt="rivacz2_46845581.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/rivacz2_46845581.jpg" style="height: 266px; margin: 5px; width: 400px;" /><br />
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Essi condividono la medesima carne e, sia pure in forma molto diversa, il medesimo sacrificio. La Madonna non è protagonista dello svolgimento di quella scena, anzi osserva compiaciuta ciò che accade. È Giuseppe a prendere l’iniziativa. Dalla bottiglia collocata in primo piano, il padre putativo ha attinto il vino versandolo nella coppa che porge al Figlio. Il divino Infante, avvolto in un largo tovagliolo per non sporcarsi, segno evidente della sua umanità, ha un attimo d’incertezza. Lo sguardo, bellissimo, esprime da un lato la naturale diffidenza dei bambini verso il vino, dall’altra lascia indovinare il rimando simbolico di quella bevanda. Un giorno Cristo, nell’orto, pregherà che passi da lui quel calice; la stessa domanda balena anche ora, nell’inconscio di quel Dio Bambino. Il calice in tutta la Sacra Scrittura è legato al destino, spesso inteso come destino avverso. Il vino invece è associato soprattutto alla gioia e alla festa. Sorte e felicità trovano un prezioso sodalizio nel sangue di Cristo, il quale, mentre è versato sulla croce (compiendo un destino avverso), diventa per tutti calice di salvezza e dunque pegno di un destino felice. In tempi calamitosi come i nostri, il simbolo del Graal fa pensare alla leggenda del Re pescatore. A un re malato e depresso, con il regno semi distrutto per la povertà, si presenta Parsifal che, a differenza di altri che erano transitati dando dotti consigli, senza alcun preambolo chiese: dov’è il Graal? La domanda fu per il re il risorgere di un desiderio. Si alzò dal suo giaciglio e con la sua ripresa anche il regno si risollevò. Forse anche noi abbiamo bisogno di qualcuno che, come Giuseppe a Gesù, come Parsifal al re, ci rimandi all’urgenza di riappropriarci del nostro destino; al dovere di accettare le sfide della vita e riaccendere così quel desiderio che può condurre noi e altri al conseguimento di un calice di salvezza. <br />
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<strong>Immagini:</strong><br />
Joos van Cleve, La Vergine col Bambino che beve vino, olio su tela. 1540 (?) Museo delle Belle Arti, Budapest.<br />
Scuola di Guido Reni, Sacra Famiglia a tavola, olio su tela, VII sec. Quadreria Arcivescovile. Milano</div>
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<em>Fonte: da Avvenire, rubrica Dentro la bellezza</em></div>
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Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-70774789008674517552015-07-02T12:22:00.000+02:002015-10-03T22:28:13.686+02:00La cintura di Tommaso, amore per la VeritàGemello, architetto, incredulo, sempre in ritardo. È questo l’identikit dell’apostolo Tommaso, confezionato dalla tradizione attraverso numerosi dettagli desunti dal Vangelo e dagli apocrifi. Tommaso evangelizzò la Siria poi raggiunse l’India dove edificò un palazzo. Si spinse fino in Cina, ma di ritorno in India morì trafitto dalla spada. Tommaso era assente il giorno in cui Gesù entrò nel cenacolo a porte chiuse, ma era assente anche il giorno in cui la Madonna, avvolta già dal sonno della morte, fu assunta in cielo. Quando arrivò trafelato, la Vergine era già ascesa, così lei, per compassione e affetto, lasciò cadere dai suoi fianchi la cintura che l’apostolo trattenne come reliquia. Questo ci narra Andrea di Bartolo, che dipinge solo la tomba di Maria con i due donatori che contemplano la maestosità dell’ascesa della Madonna, scortata da angeli. <br />
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<img alt="" src="http://www.avvenire.it/PublishingImages/rival1_46775489.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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Non ci sono gli altri apostoli. Tommaso è solo, quasi a significare la sua lontananza dai dodici, il suo ritardo. La Madonna non lo guarda e rivolge invece gli occhi verso l’alto quasi a educare Tommaso, e anche noi, a cercare sempre, nel giudizio, le verità che vengono da lassù e non dagli uomini.<br />
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<img alt="" src="http://www.avvenire.it/PublishingImages/rival3_46775495.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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La cintura che Geremia nasconde marcisce irrimediabilmente e diventa segno di un popolo che ha nascosto la sua identità di fronte al mondo, perdendo la comunione con il suo Dio. Così per san Paolo il credente deve cingersi i fianchi con la verità onde averla vinta contro le insidie del paganesimo. Ha molto da dirci oggi il nostro Tommaso, post contemporaneo ante litteram, che non crede se non vede ed è spesso assente nei momenti del miracolo.<br />
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<img alt="" src="http://www.avvenire.it/PublishingImages/rival2_46775492.jpg" style="height: 300px; margin: 5px; width: 450px;" /><br />
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A dispetto di ciò, la cintura che tiene stretta in numerose opere d’arte, rimanda alla sua capacità di fedeltà nelle ore gravi della Chiesa. Jan Joest, nell’altare della chiesa di San Nicola a Kalkar, dipinge la Madonna morente, circondata dagli apostoli. Mattia tiene per un attimo il libro di Giuda Taddeo, che sta in posizione centrale rispetto al letto e ci volta le spalle. Anche Matteo e Giacomo il maggiore tengono stretti i libri della verità, mentre piangono l’ora della morte di Maria. Officia il rito delle esequie Pietro, aiutato da Giovanni, Bartolomeo con l’incenso, e Giacomo il minore. Simone, ai piedi di Maria, è costernato, mentre Filippo si copre gli occhi per non mostrar le lacrime. L’unico che arranca fuori, lontano dalla casa è Tommaso. Lo vediamo grazie alla porta semiaperta da un cane. Non arriverà in tempo ma la sua fedeltà sarà premiata perché un angelo dal cielo gli offre con slancio la cintura di Maria. Come somiglia al nostro tempo questo Tommaso trafelato. Anche noi siamo in ritardo nel difendere le verità della fede, in ritardo a riparare sotto il manto di Maria, in ritardo a piangere per i cristiani che ancora oggi vengono martirizzati, ma possiamo ancora farcela. Possiamo correre anche noi dietro Tommaso e ricevere la grazia di quella cintura, di quell’amore alla verità, capace di vincere le illusorie libertà di questo secolo.<br />
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<strong>Immagini: </strong><br />
Andrea Di Bartolo. L’assunzione della Vergine con San Tommaso e due donatori (ser Palamede e il figlio Matteo), 1395, olio su tavola Virginia Museum of Fine Arts, Richmond</div>
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Jan Joest (attribuito). Morte di Maria, particolare dell’Altare di Sant’Antonio, 1460, olio su tavola, Chiesa di San Nicola Karkal Germania</div>
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<em>Fonte: da Avvenire, rubrica Dentro la bellezza</em></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-18007508243715708002015-06-25T12:19:00.000+02:002015-07-11T12:19:17.924+02:00Il mulino della vita che macina il grano della veritàEsattamente duecento anni or sono, prima della rovinosa sconfitta di Waterloo (18 giugno 1815), Napoleone aveva organizzato il suo posto di comando in un mulino di Ligny. Posto più simbolico di quello, il grande Bonaparte, non poteva scegliere. Lo documenta con grande efficacia<strong> Ernest Crofts</strong>, pittore britannico, in una tela esposta nel 1875 alla Royal Accademy of Art di Londra. L’opera suscitò grande ammirazione per la resa dell’ambiguità della situazione del Generale francese.<br />
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<img alt="mulino1.jpg" class="ms-rtePosition-1" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/mulino1.jpg" style="height: 391px; margin: 5px; width: 300px;" /><br />
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Sotto un minaccioso mulino sta, fiero e a cavallo, Napoleone Bonaparte mentre l’esercito si divide fra una colonna di soldati all’attacco e altri, invece, feriti e accasciati sotto il mulino. La battaglia di Ligny del 16 giugno 1815 fu vinta dalle truppe francesi ma rappresentò anche l’inizio della disfatta che si concluse a Waterloo due giorni dopo. Nella tela di Crofts le pale del mulino a vento disegnano, quasi profeticamente, la forma di una grande croce, alla sommità della quale pende un telo, quasi una bandiera bianca logora, presagio dell’imminente sconfitta. Il mulino è simbolicamente il luogo della resa dei conti, dove la vita e il tempo giungono inesorabili a pulire il grano dalla crusca. Le pale, che girano lentamente e muovono gli ingranaggi tutto macinando, sono simbolo del tempo, giudice assoluto della verità. Così anche per il grande e, apparentemente imbattibile, Imperatore giunse l'ora della verità.<br />
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Un senso analogo diede al mulino <strong>Pieter Bruegel </strong>in un'opera tornata recentemente alla ribalta per il film «I colori della passione». Una pianura estesa, del tutto simile a quella di Waterloo, vede truppe dalle giubbe rosse (gli spagnoli) soggiogare un popolo (quello delle Fiandre) fotografato nei momenti più diversi delle sue attività: lavoro, gioco, risse, vessazioni, ruberie. A fatica si scorge, nel più assoluto anonimato, Cristo che porta la croce dietro un carro, dove siedono altri due condannati, i ladroni, uno dei quali accetta di confessarsi. Solo la Madonna, san Giovanni e la Maddalena, in primo piano, indirizzano lo spettatore a una lettura religiosa del dipinto. <br />
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<img alt="mulino2.jpg" class="ms-rtePosition-2" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/mulino2.jpg" style="height: 216px; margin: 5px; width: 300px;" /><br />
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Domina sul panorama un mulino altissimo, più alto anche del palo della tortura, indice di uno sguardo sovrano che giudica la storia. È vero, in quel mulino, come suggerisce il film di Majeswski, c'è Dio, il grande Mugnaio apparentemente lontano dalle vicende umane, anche dalla sorte del Figlio. Ma in realtà, per Bruegel, ivi è nascosta la macina della verità e la farina buona del dono di sé che, alla lunga, vince su tutto. Del grande Impero romano che mise in croce Cristo e perseguitato i cristiani, non c'è più traccia; degli spagnoli che vollero dominare le Fiandre e delle superpotenze di un tempo, compresa quella napoleonica, non c’è più taccia. C’è traccia invece bimillenaria di Cristo e della sua Chiesa, quella vera, che come Maria, Giovanni e la Maddalena rimane in trincea nell'ora della prova. Come si volle di Cristo la morte così si vorrebbe, ancora oggi, della Chiesa la fine. Ma né l'Isis, né la dittatura del pensiero laicista con le loro aberranti idee di uomo, riusciranno a trionfare perché, sopra tutto, e sopra tutti c'è il Mulino della vita che macina solo il grano buono della verità. A dispetto delle mode paganeggianti, vecchie peraltro come il mondo, e dei nuovi seminatori di terrore, c’è la silenziosa semina della Chiesa di Cristo che continua la sua opera. <br />
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Immagini<br />
<strong>Ernest Crofts </strong>Napoleone dirige la battaglia di Ligny dal suo posto di comando nel mulino di Naveau (Ligny)-1785 olio su tela Collezione Privata.<br />
<strong>Pieter Bruegel </strong>(il Vecchio). Salita al Calvario (1564). Olio su tavola di grande formato(124 x 170) conservato al Kunsthistorische Museum di Vienna. <br />
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<em>Fonte: da Avvenire, rubrica Dentro la bellezza</em>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-15935466577542331412015-06-13T16:29:00.002+02:002015-06-13T16:29:34.102+02:00Il cuore di Gesù, lo sguardo che ci custodisceIl cuore, nella Scrittura, non è la sede dei sentimenti ma quella dei pensieri più profondi e delle decisioni. Guardare al cuore di Cristo significa essere riportati alle scelte fondamentali dell’esistenza che chiamano a fare verità su noi stessi e sugli altri. Oggi non si parla più dei novissimi, eppure il dramma della morte e della finitudine della vita entra nelle nostre case ogni giorno a motivo dei fatti di cronaca: le calamità naturali, le persecuzioni impetrate contro i cristiani, gli omicidi più assurdi. <br />
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<img alt="riva1_46572450.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/riva1_46572450.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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Un tempo, la predicazione e le immagini disseminate nei libri di preghiera o nelle chiese, aiutavano molto a fissare lo sguardo sul proprio cuore e sulle conseguenze ultime delle scelte più segrete. Tra le molte l’iconografia legata al Sacro Cuore, si diffuse soprattutto dopo il 1650, ovvero dopo le apparizioni del Sacro Cuore a santa Margherita Maria Alacoque. Eppure da tempo il cuore di Gesù era venerato quale modello delle virtù cristiane. Alonso Cano, pittore e scultore spagnolo, già nel 1636 dipinse una curiosissima immagine del Cuor di Gesù. Il divino infante siede con un abito grigio, frusto, segno di quel lenzuolo che lo avvolse nell’ultima ora e qui tinto nel grigiore della morte. Pare addormentato e a questa interpretazione ci dirige il titolo: Gesù Bambino col cuore infiammato, ferito d’amore, Ego dormio et cor meum vigilat. Sì, io dormo ma il mio cuore veglia: le parole della sposa del Cantico dei Cantici sono poste qui in bocca allo sposo, Cristo che, nel sonno della morte, veglia su tutte le nostre ferite. È evidente, del resto, la ferita del cuore sul quale Gesù siede, indicando così l’abbandono al suo destino in un’offerta senza ripensamento. Gli occhi benché chiusi ci vedono, scrutando le nostre risposte. Il dito mignolo non è nascosto dalla guancia con gli altri e pare già arrosato di quel sangue che avrebbe di lì a poco versato sulla croce. Di fronte a immagini simili Santa Teresa di Lisieux maturò la sua piccola via, educandosi a vivere nella profonda coscienza del proprio limite e nell’infinita confidenza verso la misericordia di Dio. Il manto verde, che Gesù Bambino trattiene con la mano destra, è simbolo di quella vita che, a differenza di noi, egli può dare e riprendere di nuovo. Così il fedele, pregando di fronte a tali immagini, era spinto a guardare le brutture della vita presente con la fiducia di essere custodito dallo sguardo e dall’amore del Salvatore il quale, a dispetto dell’apparente silenzio, continua a vegliare su di noi con la tenerezza di un padre e la forza salvifica del suo Sacrificio.<br />
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<img alt="riva2_46572454.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/riva2_46572454.jpg" style="height: 299px; margin: 5px; width: 450px;" /><br />
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Un’altra opera, frutto di un anonimo peruviano del XVII secolo, ci offre l’effige di Gesù Bambino pittore che illustra ai suoi fedeli le verità ultime. Cristo non siede dentro un atelier, ma tra le pareti del suo cuore, modello di verità e di semplicità e dunque modello da imitare per raggiungere la vita eterna. Gesù, mentre regge tavolozza e pennelli, volge lo sguardo verso di noi, provocandoci a una risposta. Il suo corpo sta tra il paradiso e la risurrezione ultima, quella in cui verrà il giudizio (in alto), e morte e inferno (in basso). Scandagliare l’inconscio non è sempre facile e spesso le motivazioni del nostro agire sfuggono a noi stessi. Perciò attorno al cuore di Cristo sono rappresentati alcuni personaggi che offrono gli aiuti necessari per comprendere se stessi, gli altri e affrontare il viaggio della vita. A sinistra troviamo le virtù teologali: la carità chiede un cuore materno verso tutti: il bimbo allattato, figlio naturale, e l’altro bimbo che curiosamente indica la seconda virtù, la speranza. Questa legge il libro della Scrittura certa di trovare in essa il fondamento del suo sperare, ai piedi ha l’àncora della salvezza che impedisce di essere preda dei marosi della vita. In piedi e con lo sguardo rivolto a noi, come Cristo, sta la fede che regge il Santo Sacramento, luogo dove lo sguardo si purifica e ritrova la giusta lettura degli eventi. Gli angeli della tela sono Gabriele, Michele e Raffaele, testimoni dei doni divini: l’annuncio di Cristo (la fede); la vittoria ultima contro il male (la speranza); la cura che Dio ha per noi (la carità). Sigillo della scena è la Trinità: il Padre si sporge a guardare l’opera del Figlio e invia lo Spirito Santo. Così anche noi, oggi, come l’antico fedele di Cuzco, guardando questa immagine impariamo ad affidarci al Divino artista, attingendo ai colori delle virtù cristiane per fare della nostra vita un capolavoro.<br />
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<strong>Immagini</strong><br />Alonso Cano, Gesù Bambino col cuore infiammato e ferito d'amore, Ego dormio, et cor meum vigilat, Olio su tavola, 1636-38, Meadows museum of Art, Dallas</div>
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<br />Autore anonimo della Scuola di Cuzco, Il Bambino Gesù dipinge, all'interno del suo Cuore, le realtà ultime, olio su tela XVII-XVIII sec., Perù</div>
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<em>Fonte: Avvenire, rubrica Dentro la bellezza</em></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-64583544625888670432015-06-05T16:47:00.003+02:002015-06-05T16:48:08.334+02:00Cristo, il pellicano del deserto e dell'acquaÈ diventato celebre a causa di San Tommaso il «pie pellicane», il Cristo pellicano che nutre i suoi piccoli, cantato nell’inno eucaristico <strong>Adoro te devote</strong>. Il pellicano è, nella storia dell’arte cristiana accanto al pane e al pesce, simbolo eucaristico per eccellenza. Spesso però l’immagine del pellicano compare nelle crocifissioni o con il Cristo sofferente come nell’opera di Lorenzo Monaco. In questo dipinto compaiono tutti i segni principali della passione: lanterna, denari, coltello, bastone, catino per il lavaggio delle mani di Pilato, gallo, flagelli, colonna, lancia, spugna, scala, calice, sepolcro e oli aromatici. <br />
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<img alt="pellicano1_46484785.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/SiteAssets/Pagine/Dentro%20la%20bellezza/Cristo%20%20il%20pellicano%20del%20deserto%20e%20dell%20acqua_20150604/pellicano1_46484785.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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C’è proprio tutto e i gesti dei persecutori del Cristo sono ritratti senza il corpo, quasi a ricordare, a chi contempla una tale summa di dolori, che noi pure siamo colpevoli di tanta violenza. Il pellicano campeggia alla sommità della croce, tra la luna e il sole, fra il tradimento di Pietro (accanto al sole) e quello di Giuda (accanto alla luna), attestando così che Eucaristia e passione di Cristo sono un'unica realtà. La corona di spine è ormai abbandonata alla sommità della croce e, da quest’ultima, un albero di vita già si erge a testimoniare che il corpo di Cristo, prossimo alla sepoltura, sarà glorificato. Il pellicano si ciba di pesce e, quindi, pesca per i suoi piccoli al largo trattenendo la preda nella sacca inferiore del suo becco. Una volta raggiunto il nido, apre il becco tenendo la punta dello stesso rivolta al suo petto onde facilitare ai piccoli la presa del pesce. In questa delicata operazione spesso, il pellicano si ferisce e rimane con il petto sanguinante. Ciò contribuì a generare l’idea che il volatile nutriva i piccoli con la sua stessa carne similmente a Cristo nell’eucarestia. La solitudine in cui versa il Pio pellicano, tradito da Pietro e da Giuda, è ricondotta alla Scrittura che nel salmo 101 afferma: «Sono simile a un pellicano nel deserto». I padri della Chiesa e Rabano Mauro, riconoscevano due tipi di pellicani: uno, di cui parla il salmo forse il capovaccio, che predilige le zone desertiche, l’altro che vive presso corsi d’acqua. Se il secondo è immagine di Cristo che nutre i suoi, il primo è segno della sua solitudine. Cristo è il solo nato da una Vergine, è solo nell’orto degli ulivi, solo sulla croce. <br />
<img alt="pellicano2_46484788.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/SiteAssets/Pagine/Dentro%20la%20bellezza/Cristo%20%20il%20pellicano%20del%20deserto%20e%20dell%20acqua_20150604/pellicano2_46484788.jpg" style="height: 301px; margin: 5px; width: 450px;" /><br />
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Qui i piccoli nutriti sono due, come il comandamento nuovo: amare Dio e il prossimo, ma possono essere tre, oppure quattro, come in una miniatura del XIII secolo, dove il pellicano nutre i suoi piccoli nascosti nel nido. Nel becco dell’uccello, più simile a quello della cicogna che a quello del pellicano, ci sono quattro pani, altro simbolo eucaristico, e l’uccello tiene serrato fra le zampe un serpente che stata tentando un uomo. Quell’uomo è l’umanità insidiata dal serpente antico e distribuita nei quattro angoli della terra, i punti cardinali, come sono appunto, quattro i piccoli del pellicano, come la totalità delle genti che nel costato di Cristo trova dimora e ristoro. Il Pie pellicane ha raggiunto davvero i confini del mondo: la Louisiana, che l’ha scelto come bandiera, è chiamata Pelican State. <br />
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<strong>Immagini</strong><br />
<strong>Lorenzo Monaco</strong>, Cristo in pietà e i simboli della Passione, 1404, cm 268 x 172, tempera su tavola, Galleria dell'Accademia, Firenze <br />
<strong>Ugo di Fouilloy</strong>, Miniatura Francese, Sloane MS 278 Avarium /Dicta Chrysostomi 1260-80 British Library, Londra <br />
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<em>da Avvenire, rubrica Dentro la bellezza</em>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-21615207339908837772015-05-29T22:01:00.000+02:002015-05-29T22:01:02.140+02:00La vera femminista cristiana tra il fuso e la spadaNel 1425 fa aveva 13 anni la celebre Pulzella d’Orleans. Aveva 13 anni e già, nella sua semplicità di contadina, maturò la coscienza di essere votata a una grande missione: salvare la Francia e, per mezzo di essa, la cattolicità in Europa. Giovanna d’Arco è stata tanto celebrata quanto bistrattata dalla pubblica opinione e spesso ridotta al rango di personaggio mitologico frutto della fantasia patriottica francese. In realtà, scandagliandone la vita, emerge a tutto tondo il ritratto di una fanciulla cristiana che, nella consapevolezza della sua fragilità, seppe affidarsi al Signore e compiere grandi cose. Uno dei suoi ritratti più famosi è quello di Eugene Thirion, dove Giovanna, viene distolta dal suo quotidiano a causa di una voce e di una visione.<br />
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<img alt="ok_eugene__46419946.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/ok_eugene__46419946.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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Lo sguardo della santa, fisso su di noi, è colto fra il fuso che tiene fra le mani e la spada che le porge San Michele. L’iconografia rimanda alle Annunciazioni apocrife, dove la Madonna è sorpresa dall’angelo mentre fila con il fuso come quella di Waterhouse. L’esterno della casa di Maria è il luogo dell’evento e la Madonna abbandona il fuso, quasi spaventata per l’annuncio di San Gabriele. Il fuso è protagonista, del resto, di molte fiabe (ad esempio quella de: La Bella Addormentata nel bosco), congiunte spesso al candore minacciato dal male. <br />
<img alt="annunciazi_46419945.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/annunciazi_46419945.jpg" style="height: 299px; margin: 5px; width: 450px;" /><br />
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Si comprende allora lo spavento di Maria e il rapido portarsi la mano al petto e alla testa: i principali luoghi ove si gioca la vittoria sul male. E se qui è porto alla Vergine il giglio, simbolo della novità dell’Incarnazione, là, in Giovanna d’Arco, è offerta la spada, segno della lotta che il regno di Dio combatte in questo mondo. Fu Gesù stesso ad annunciare tale lotta quando disse: non sono venuto a portare la pace, vi dico, ma la spada. E non è certo un incitamento alla guerra quello di Cristo, pur tuttavia la sua voce, come quella udita dalla Pulzella d’Orleans, ci sveglia da un pacifismo comodo che dimentica la lotta contro il male. Non è un caso se una donna del calibro di Giovanna sorse in Francia durante la guerra dei cent’anni contro l’Inghilterra! Ancora oggi queste due nazioni sono al centro delle sfide moderne tese a conculcare le radici cristiane dell’Europa; sono al centro della lotta contro l’ideologia gender, con il fenomeno delle Manif pour tu (o delle Sentinelle in piedi); al centro della lotta contro il fondamentalismo islamico, con i giovani mussulmani inglesi che girano con la scritta 2033, promettendo per quella data la vittoria demografica mussulmana. Così Giovanna d’Arco nel ritratto possente di Thirion si sottrae a tutte le polemiche antiagiografiche e ci risveglia con la sua spada alla necessità di una legittima difesa. Una difesa che passa per la via del fuso, simbolo della paziente semplicità e del coraggio che solo le donne, con la loro dedizione educativa verso l’uomo, sanno attuare. Giovanna, dunque, è la vera femminista cristiana che ci restituisce alla difesa contro le imperanti ideologie che violano i diritti cristiani, quali la vita, l’identità di genere e la libertà religiosa.<br />
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<strong>Immagini</strong>Eugène Romain Thirion, Giovanna d’Arco ascolta la voce di San Michele, 1876, olio su tela, 225 x 163 cm. Chatou, église Notre-Dame.<br /><br />John William Waterhouse, Annunciazione, olio su tela 1914, olio su tela, 99 x 135 cm, Sotheby 's, Stati Uniti d'America<br />
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<em>da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza</em>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-80192202504412750732015-05-21T22:34:00.000+02:002015-05-26T22:34:49.745+02:00Soavità e forza nei discepoli attorno a MariaQuando El Greco morì, nel 1614, lasciò nel suo studio figurine modellate in cera che egli adoperava per realizzare gli scenari delle sue opere. Sono, in effetti, vibranti come cera gli apostoli, radunati nel cenacolo della Pentecoste di El Prado (Madrid). Non ci sono finestre e l’oscurità che s’indovina rimanda alla disgregazione e alla paura che i discepoli vissero durante gli eventi dolorosi della morte di Gesù. Tuttavia, con l’avvento dello Spirito, tutto vibra di luce e il gruppo degli apostoli si ricompatta attorno a Maria.<br />
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<img alt="riva2fd_46335885.jpg" class="ms-rtePosition-1" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/riva2fd_46335885.jpg" height="400" style="margin: 5px;" width="267" /><br />
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Sì, il passato è redento, rinnovato, non già grazie agli sforzi personali di ciascuno, bensì grazie all’esistenza nuova in Cristo resa possibile per la discesa soave, eppure forte, dello Spirito Santo. A ben pensarci, soavità e forza sono gli aggettivi più idonei a descrivere questa Chiesa nascente di El Greco. Soavità perché ciascuno, nel gruppo, è attratto dal Mistero ed è in esso che si concepisce come chiamato da Dio per una missione. Forza perché lo sguardo di ciascuno è verso un centro e non verso l’uno o l’altro membro del gruppo. Tutti guardano verso un punto più alto, verso lo Spirito che tutti unisce e tutti affratella. Quanto ci educa questo vibrante gruppo di discepoli! Anche noi avremmo tanto bisogno di uno sguardo che converga verso un centro, verso un punto alto, più in alto! Christian de Chergè, martire a Tibhirine ad opera dei fratelli della montagna, a proposito del fondamentalismo mussulmano affermava che, oltre le categorie dell’odio, più in alto c’è un giardino. Ma questo punto più alto chiede, a noi cristiani, franchezza, parresia, capacità di sperare. Le figure dipinte da El Greco sono quattordici: undici apostoli e tre donne. Quattordici come il valore numerico del nome di Davide. Le promesse fatte a Davide si sono compiute: un popolo nuovo darà lode al Signore. Un popolo che porterà sempre in sé il segno dell’imperfezione umana: undici apostoli e non dodici (numero simbolico della totalità), undici perché quell’uno che manca resta, come ombra, sullo sfondo del Calvario. Tuttavia quest’assenza è colmata da Maria, è lei a completare quell’undici scandaloso, è lei la «matrice» che non vacillerà. El Greco ha sigillato la sua opera con un elemento scenico: vi si appoggia l’apostolo di spalle con la testa rovesciata. È l’inizio del corrimano di una scala il cui termine ideale è Maria. Sì, oltre le nostre paure, oltre le nostre oscurità più in alto c’è un giardino: la Vergine ne è la primizia.<br />
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Dunque: se sei sbattuto dalle onde della tribolazione, come disse San Bernardo, guarda la stella, invoca Maria. Ave, gratia plena! Con un tratto più sintetico e fermo l’anonimo artista del Salterio Hunterian (uno dei più grandi tesori della Glasgow University), realizza una miniatura sulla Pentecoste. La Madonna è al centro, anche qui come una colonna, una turris eburnea attorno alla quale i discepoli del Signore si raccolgono<br />
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<img alt="riva_fc_46335887.jpg" class="ms-rtePosition-1" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/riva_fc_46335887.jpg" style="height: 376px; margin: 5px; width: 250px;" /><br />
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Lo Spirito irrompe dall’alto in un fiume di fuoco che incendia gli apostoli come selva di ceri. Oltre le pareti del cenacolo, avvolte dall’oro dell’inconoscibile opera di Dio, sta la città: Gerusalemme, la città-teatro della morte del Signore eppure anche la città giardino. Qui, Gerusalemme, in realtà sembra essere edificata sulla volta della sala del Cenacolo. In modo diverso da El Greco, dunque, questo anonimo artista del XII secolo, suggerisce l’immagine di una umanità rinnovata dal fuoco dello Spirito che edifica la città-giardino avendo come colonna portante la Vergine Maria. <br />
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Immagini<br />
<strong>El Greco</strong>, Pentecoste 1597-1600 Olio su tela, cm 275 x 127 Museo del Prado, Madrid <br />
<strong>Il Salterio Hunterland</strong>, Pentecoste, Miniatura del XII secolo, Folio 15v, Università di Glasgow, Scozia UK<br />
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<em>(da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza)</em>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-89613986440443740832015-05-14T22:34:00.000+02:002015-05-15T22:34:50.996+02:00Il coniglio, simbolo delle due nature di CristoLa moglie di Tiziano morì di parto nel 1530, mentre l’artista, su richiesta di Federico Gonzaga, s’apprestava a dipingere la <strong>Madonna del coniglio</strong>. La composizione tradisce lo stato d’animo dell’artista che sembra essere ritratto nel pastore sul lato sinistro del dipinto. Alcuni vedono qui un ritratto di Federigo ma altri, a ragione, ravvisano lo stesso artista che accarezza con lo sguardo perso una pecora nera, simbolo della sua sventura. La Madonna, finemente abbigliata, ha lasciato il divin Figliolo alla dama di compagnia, santa Caterina d’Alessandria, riconoscibile per la ruota dentata sulla quale si appoggia. Il gesto, apparentemente naturale e legato all’iconografia della Santa che Gesù Bambino degnò delle mistiche nozze, rimanda alla realtà del pittore il quale, a causa della morte della sposa fu costretto a lasciare la neonata Lavinia nelle mani della sorella Orsa. <br />
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<img alt="La_Vierge_au_Lapin_à_la_Loupe.jpg" class="ms-rtePosition-1" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/La_Vierge_au_Lapin_a%cc%80_la_Loupe.jpg" style="height: 162px; margin: 5px; width: 200px;" /><br />
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La radiografia ha rivelato che in una prima versione la Madonna guardava proprio il pastore, mentre con gesto deciso tratteneva il piccolo coniglio bianco. Il coniglio, il cui pelo muta da marrone in inverno a bianco in estate è, secondo sant’Ambrogio, simbolo delle due nature di Cristo. <br />
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Lo attesta un’opera di scuola emiliana di un seguace del Badalocchio (XVII secolo) dove la Madonna e il Bambino sostano in una radura con sant’Anna e san Giovannino. In primo piano due coniglietti fissano la croce con il cartiglio: Ecce Agnus Dei, attributo del Battista. Gesù, invece, sta guardando proprio i due animali quasi presago del loro significato. Accanto a lui, un poco arretrata, Sant’Anna scruta il libro delle Scritture: è Cristo l’Agnello promesso dai profeti. Egli è vero Dio e vero uomo e il supplizio della croce non lo potrà annientare perché la natura divina trionferà trascinando con sé la natura umana nella gloria. I due coniglietti, infatti, sono ritratti proprio nel momento della muta dove uno, più nascosto, ha ancora il pelo marrone, mentre l’altro, decisamente voltato verso la croce, è ormai candido ed è segno della risurrezione futura.<br />
Se per la sua capacità riproduttiva il coniglio indica la lussuria, quando è bianco e associato alla Vergine Maria o a Gesù Bambino, è rimando alla verginità feconda. Il fatto poi che il coniglio nasca a primavera lo ha reso emblema della risurrezione. Così l’opera di Tiziano rivela tutta la sua profondità. <br />
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<img alt="Madonna__S_Anna_Giovanni_Scuola_Emiliana.jpg" class="ms-rtePosition-2" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/Madonna__S_Anna_Giovanni_Scuola_Emiliana.jpg" style="height: 248px; margin: 5px; width: 200px;" /><br />
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Da un lato la Vergine Madre, mostrando al Figlio il piccolo coniglio bianco, gli insegna la verità della sua natura divina che lo porterà, con la risurrezione, alla vittoria sul male e sulla morte. Dall’altro, invece, i l pittore ha lasciato in eredità alla figlioletta Lavinia la sua fede nella vita eterna. La Madonna, infatti, rappresenta la moglie dell’artista che attesta alla piccola (nei panni di Gesù) la certezza dell’eternità da lei già raggiunta, ma che sarà meta del loro futuro ricongiungimento. Accanto alla Madonna sta un cesto da cui sbucano una mela e un grappolo d’uva. Il primo frutto è simbolo del peccato originale, il secondo è segno di quel rimedio al peccato che è l’Eucaristia, pane – appunto- per una vita che non muore. Il gruppo siede in luogo ameno carico di fiori, simbolo di quell’Eden la cui memoria vive nel cuore umano come nostalgia, il paesaggio sullo sfondo, invece, con il campanile in controluce rimanda alla sera della vita dove ciascuno sarà chiamato a rendere ragione della sua speranza. Come Caterina alle cui spalle già vede profilarsi i soldati che la manderanno al martirio. <br />
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<strong>Immagini</strong>Tiziano Vecellio, Madonna del coniglio, 1530 circa, Olio su tela 71×85 cm. Louvre, Parigi<br />
Scuola Emiliana XVII sec (seguace del Badalocchio) olio su tela 39x31 cm. Collezione Privata Bologna <br />
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<em>da Avvenire, rubrica Dentro la bellezza</em>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-54649871759694108012015-05-07T22:30:00.000+02:002015-05-15T22:31:21.326+02:00L'albero e l'abbraccio generoso della madreGiovanni Segantini aveva sette anni quando perse la madre, ma ritrovò una sorta di abbraccio materno nelle Alpi e nel loro maestoso dilatarsi verso il cielo. Nel 1894, quando dal cantone Grigioni si trasferì all''Engadina, andando ad abitare a Maloja, l'artista realizzò un dipinto affascinante: un olio su tela dal titolo «L’angelo della vita». <br />
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<img alt="albero1_46175391.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/albero1_46175391.jpg" style="margin: 5px;" /><br />
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Nell’opera si rintraccia l’amore per il simbolismo a tratti mistico, anzi religioso, che appassionò l’artista proprio per l’incontro con la terra Engadina. Una betulla allegorica taglia irrimediabilmente a metà la tela e ci introduce nella profondità del quadro obbligandoci ad andare oltre, oltre la sua nodosità, oltre la donna col bambino, per giungere al paesaggio sullo sfondo. Lì vediamo un laghetto alpino, promessa di fecondità e di vita, attorno al quale, però, tutto è brullo; neppure l’albero, da un lato privo di foglie, sembra beneficiare di quelle acque. Segantini racconta la parabola di un'umanità che cerca la salvezza contorcendosi nel cielo chiaro della vita ma, proprio come quest'albero, non si accorge di averla molto vicina a sé, quasi a portata di mano. Le acque argentee del lago si rispecchiano nell’abito di questa madre, il cui incarnato, pieno di luce, rimanda all’innocenza perduta e a una dimensione, come afferma il titolo, angelica. È per una siffatta madre che l’albero riacquista la vita, infatti proprio accanto a lei i rami rinverdiscono. La tenerezza con cui il bimbo sta aggrappato al corpo della madre rievoca la fanciullezza di Segantini, cui questo abbraccio materno fu rubato prestissimo. Il dipinto ha un secondo titolo che conferisce all'opera un insospettato spessore religioso: la dea cristiana. Sulle prime pare un titolo irriverente, quasi una presa di distanza dell’autore dalla Vergine Maria, ma dopo una più attenta riflessione s’intravvede la nostalgia dell’artista per una tale Madre. Fin da allora, del resto, la figura della donna-madre, andava mutando rapidamente, entrando in una crisi drammaticamente registrata anche oggi. Non a caso il secolo in cui visse Segantini (tra 1850 e il 1950) vide prender corpo, in America e in Europa, la festa della Madre. Altre opere dell’artista sul tema offriranno uno spaccato profetico della crisi femminile che andava diffondendosi. Nella tela «Le cattive Madri», ad esempio, l’albero, benché ancora protagonista della scena, non è centrale ma collocato sul lato destro della tela quasi a sbarrare ogni possibile passaggio. Il paesaggio alpino è lontano dalla primavera del quadro precedente ed è anonimo e nevoso, simbolo di una morte che tutto abbraccia. Sullo sfondo quasi confuse nel paesaggio vi sono madri che danzano nella neve con i loro piccoli, mentre una, con i capelli impigliati fra i rami, rifiuta il suo nascituro ancora legato al cordone ombelicale ma, gettato nel ghiaccio. <br />
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<img alt="albero2_46175392.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/albero2_46175392.jpg" height="266" style="margin: 5px;" width="400" /><br />
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In primo piano un’altra cattiva madre è totalmente abbandonata all'albero e segue l'inclinazione dei suoi rami. È dunque la donna che segue le sue inclinazioni e rimane così impigliata nelle logiche della morte. I capelli e l’abito di questa madre sono un tutt'uno con l'albero. Tiene, è vero, avvinto a sé un bimbo, ma non lo abbraccia, anzi lo costringe a procurarsi da se medesimo il latte che lei stessa dovrebbe dispensargli con amore. Fa riflettere come un artista qual è Segantini, in fondo non dichiaratamente religioso, sia giunto attraverso la sua esperienza personale a un’indagine così acuta e vera sulla maternità. Egli aiuta anche noi comprendere che solo attraverso la certezza di essere stati generati alla vita da un abbraccio simile a quello di Maria: materno, generoso e gratuito, è possibile ritrovare la strada dell’equilibrio, della giovinezza del cuore e della speranza. <br />
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<strong>Immagini: </strong><br />
Giovanni Segantini. L'angelo della vita, 1894, olio su tela, cm. 276 x 212 Galleria d'Arte Moderna, Milano.<br />
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Giovanni Segantini Le cattive madri" 1894, olio su tela, 105 x 200 cm, Vienna, Kunsthistoriches Museum)</div>
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<em>da Avvenire, rubrica Dentro la bellezza</em></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-28105678932887117712015-05-01T00:35:00.000+02:002015-05-03T00:36:13.521+02:00San Giuseppe tra la Scrittura e la vera vignaHa il cappello da lavoratore san Giuseppe in questa Sacra Famiglia a firma di Joos van Cleve, pittore olandese attivo ad Aversa nei primi decenni del 1500. Ha il cappello di paglia da lavoratore e legge attentamente un libro inforcando un paio di occhiali. L’attitudine è del dotto conoscitore delle Scritture che lasciandosi alle spalle lavoro e fattoria, contempla Maria mentre allatta Gesù. <br />
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<img alt="rivaz1.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/SiteAssets/Pagine/Dentro%20la%20bellezza/San%20Giuseppe%20tra%20la%20Scrittura%20e%20la%20vera%20vigna_20150430/rivaz1.jpg" style="height: 601px; margin: 5px; width: 450px;" /><br />
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Non vediamo ciò che legge Giuseppe ma certo egli viene istruito dalle Scritture circa il Mistero o della sua Vergine Sposa e del Figlio Gesù. Attorno al Cristo e alla Vergine Madre si dispiegano simboli che rivelano la natura e il destino di quel Bambino. Sul davanzale dov’egli poggia i piedi v’è un vaso di vino. Né una bottiglia né un calice, bensì un vaso: quello che compare spesso in mano agli angeli o alla Maddalena sotto la croce, destinato a raccogliere il sangue di Cristo. Capiamo che quel Bimbo è la vera vite che dispenserà il vero sangue dell’uva, cioè il suo sangue, bevanda di salvezza eterna. Sarà il suo sacrificio a riaprire il Paradiso la cui chiusura era stata provocata dal peccato. Dall’altro lato del davanzale vediamo, infatti, un’arancia tagliata con uno spicchio proprio davanti a Cristo. L’arancia, tonda e dorata, è il frutto proibito mangiato dai progenitori che ha provocato nel mondo morte e dolore. Quel coltello che un tempo ha ferito l’albero della vita ora ferirà Cristo, il nuovo Adamo, dal quale però sgorgherà una fonte di salvezza. Gesù non pare consapevole del destino di croce che lo attende, ci guarda gioioso, aggrappandosi al seno purissimo della Vergine Madre. Il gesto, comune ai piccoli poppanti, nasconde un grande insegnamento. Il Messia si ciberà di latte e miele fino a che non apprenderà la durezza della vita. Ora, egli, Immacolato, riceve latte da una Donna Immacolata: Maria che per la sua innocenza, contribuisce al successo della Redenzione. Ella è presaga del dolore del Figlio, infatti abbassa gli occhi ammirando quasi distrattamente un piccolo fiore di aquilegia. Piantine di aquilegia sono dipinte anche sul telo che sta dietro il trono della Madre. L’aquilegia, con la gamma dei colori che vanno dal rosso cupo al violaceo e pendendo dai rami come gocce di dolore, evoca la passione e il sangue che versò Cristo sulla croce. Il Cuore verginale di Maria intende e prevede ciò che Giuseppe legge nelle Scritture. San Giuseppe veste come il monaco contadino, il quale nella pausa di mezzogiorno, lasciava temporaneamente il lavoro per dedicarsi alla preghiera. Il suo aspetto monastico dunque assicura al fedele la sua verginità e lo rende totalmente partecipe dell’opera di Redenzione che Cristo è venuto a compiere.<br />
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In un’altra opera van Cleve, lo veste addirittura da monaco e gli pone in mano un Cartiglio sul quale si leggono le prime battute del Magnificat, la preghiera serale che apre al giorno seguente. Davanti a Gesù scorgiamo il vaso con il vino, ancora egli ha davanti a sé, questa volta in mano, un’arancia. Il davanzale tuttavia è arricchito di molti altri frutti: un grappolo d’uva, una pera, un melograno e alcune ciliegie. <br />
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<img alt="rivax2.jpg" src="http://www.avvenire.it/rubriche/SiteAssets/Pagine/Dentro%20la%20bellezza/San%20Giuseppe%20tra%20la%20Scrittura%20e%20la%20vera%20vigna_20150430/rivax2.jpg" style="height: 611px; margin: 5px; width: 450px;" /><br />
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Questi frutti simbolici sono un riferimento all’Incarnazione e alla Passione. La pera e la melagrana sono simbolo della fertilità verginale della Madonna, mentre le ciliegie e l’uva sono un rimando alla croce e al sangue versato dal Redentore.<br />
Il coltello, che anche qui troviamo appoggiato sul davanzale, questa volta è rivolto verso di noi e sta tra una noce e una castagna. La noce, con i suoi tre elementi il guscio, il mallo e il gheriglio, indica la croce (il guscio), che attraverso la carne di Gesù (il mallo), rivela la sua divinità (il gheriglio). La castagna, invece, in latino castanea, è rimando alla castità e alla continenza, virtù che ebbero Giuseppe e Maria e per mezzo delle quali Cristo ha rinnovato il mondo invecchiato nella concupiscenza. <br />
Pertanto, il coltello rivolto a noi, ci sprona a tagliare con le concupiscenze innaturali al fine di affrettare il compiersi del disegno salvifico sul mondo. Ciascuno di noi ha da cantare il proprio Magnificat, come Maria e Giuseppe che con il loro sì, affrettarono l’opera di Redenzione del Cristo.<br />
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<strong>Immagini: </strong><br />
Joos van Cleve La Sacra Famiglia c. 1515 olio su panello, 53 x 40 cm Akademie der bildenden Künste, Vienna<br />
Joos van Cleve La Sacra Famiglia c. 1512-13 olio su legno, 42,5 x 31,8 cm The Friedsam Collection, New York</div>
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<em>da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza</em></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3190948265702148202.post-80732562778737615132015-04-23T22:10:00.000+02:002015-04-24T22:10:38.019+02:00Il Cristo alla porta che ci invita ad essere liberi«Io sono la Porta». È il primo annuncio del buon Pastore. Egli è pastore porta e ovile. La porta è, da sempre, elemento importante nell'architettura: città, chiese e case trovano nella porta il loro biglietto da visita, il segno di un’identità. Non è frequente, nell'arte, l'immagine di Cristo pastore che sta alla porta e bussa. Eppure c'è. C'è nell'iconodulia, c'è nelle sacre immagini di un tempo, quelle da conservare nei libri di preghiera, ormai scomparsi dall'uso quotidiano. C'è in <strong>William Hunt </strong>che nel suo «Cristo luce del mondo» dipinge un re Pastore che va girando con un lume, in attesa che qualcuno gli apra. <br />
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<img alt="gloria1.jpg" class="ms-rtePosition-1" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/gloria1.jpg" style="height: 584px; margin: 5px; width: 300px;" /><br />
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Dietro le sue spalle si vedono alberi nudi, avvolti in un inverno senza rimedio, ma là dove egli passa, gli alberi rinverdiscono e la vita fiorisce. Lo dimostra l'edera, simbolo di fedeltà e di eternità, che s'inerpica lungo la porta, proprio davanti a Gesù, lo dimostra il finocchietto selvatico che annuncia l'inganno in cui è stato tratto il diavolo. Come i dolci al finocchietto erano serviti per cambiare il sapore del vino meno buono e ingannare il cliente, così l'umanità del Signore ha ingannato il serpente antico. Questi ha addentato la preda per ucciderla, ma poiché Cristo è vita, è la vita non può morire, ecco che la morte (il serpente antico, il diavolo) è rimasta uccisa. Cristo guarda pensoso, mentre bussa, quasi presentendo che nessuno avrebbe aperto, che il suo richiamo sarebbe rimasto inascoltato. La porta dove bussa, infatti, non ha maniglia esterna, si apre solo da dentro. <br />
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L'immagine più potente del Cristo alla porta, però, l'ha dipinta <strong>Antonio Martinotti</strong>, artista italiano scomparso nel 1999. Non ci è dato di vedere nulla del corpo del Salvatore, se non il volto e la mano dietro a un'impressionate scorcio di porta. Anche questa non ha maniglia, la mano del Cristo è allo spiraglio, come canta il Cantico dei cantici, e apre il suo Mistero al nostro mondo, bruno di terra, come la porta che ci divide. Sopra le nostre oscurità si è aperto uno spiraglio di luce, schegge d’oro ci investono: il Signore ha bussato. Chi gli ha aperto? Qualcuno ha aperto. E dietro l'apertura di quell’uno, ora anche i nostri occhi vedono lo sguardo del Redentore così carico di dolente attesa e di domanda: «Quando tornerò sulla terra, troverò la fede?» Lo sguardo del Cristo tradisce ciò che lo stesso artista aveva visto negli orrori della guerra, nell'esperienza del Lager. Che cosa vedrebbe ora il Pastore se tornasse fra le sue pecore? Fa male quello sguardo. Tutta la luce del quadro è lì, negli occhi mesti e profondi di Gesù. <br />
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<img alt="gloria2.jpg" class="ms-rtePosition-2" src="http://www.avvenire.it/rubriche/PublishingImages/gloria2.jpg" style="height: 436px; margin: 5px; width: 300px;" /><br />
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È una luce che non ammette ombre, che conosce, che ama e penetra nell’anima, rivelando quanto il nostro cuore sia lontano da quello sguardo. Gli infiniti lager dell’umanità ci danno fastidio, ci danno fastidio le persecuzioni, le eroiche affermazioni d’essere cristiani. Sono scomode, come lo sguardo del Cristo. Esse non accusano, anzi sono il belato di un agnello inerme, eppure risuonano in noi come una trafittura potente. E abbiamo l’impressione che quella porta debba restare così, socchiusa all’infinito, fino a che la nostra libertà non la spalanchi e si lasci abbracciare dal Redentore. Sopra il capo del Cristo c’è un triangolo blu turchino. È il Cielo abbracciato dai martiri, dai confessori della fede, è un Cielo che s’apre anche per noi, bruni di terra, che dietro la porta mendichiamo la bellezza di uno sguardo così. <br />
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Immagini<br />
<strong>William Holman Hunt, </strong>La luce del mondo, 1853-1854, olio su tela, 125×60 cm, Keble College, Oxford <br />
<strong>Antonio Martinotti</strong> (Pavia 1908 - Milano 1999) Cristo alla porta, 1953, olio su tela, Collezione Privata, Monza. <br />
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<em>da Avvenire, Rubrica Dentro la Bellezza</em>Unknownnoreply@blogger.com0