Siede al centro della lunetta, che sta all’ingresso del mausoleo di Galla Placidia, il Cristo pastore. Siede al centro, perché è lui la via per la quale le pecore entreranno e usciranno e troveranno pascolo. Il bastone e il vincastro del Pastore divino, celebrati nel Salmo 23, hanno trovato una perfetta sintesi nella croce che è, per le pecore buone, salvezza e, per quelle cattive, motivo di condanna. Il bastone diritto e piuttosto corto, era lo strumento con cui il pastore guidava il gregge e scacciava il lupo; il vincastro invece, molto lungo e ricurvo alla sommità, era usato per prendere le pecore che si allontanavano riportandole sulla retta via.
Cristo siede sopra una rocca a gradinate: il Migdal-Eder, la torre del gregge, il luogo dove il Pastore d’Israele sorveglia le sue pecore. Il rimando è ai monti biblici, luoghi dell’alleanza: il Calvario, il Sinai, il monte Moria. Cristo non ha la barba perché è pastore universale e dunque anche pastore dei romani, veste alla maniera dei romani e, nelle sue mani, lo strumento di supplizio da questi usato, è diventato strumento di misericordia. Ci sono pecore alla destra e pecore alla sinistra secondo una struttura a chiasmo, al cui centro Cristo, ruotando il suo corpo, unisce le due postazioni. Si comprende come vorrebbe salvare le une e le altre, ma non può, anche Cristo si arresta di fronte alla libertà delle pecore di accettare o meno l’alleanza. Pastore, in ebraico, si dice ro’èh (dalla radice ra’ah, pascolare), ma essendo l’ebraico scritto solo con le consonanti è possibile leggere la parola come re’eh, cioè amico, oppure ra’ah, cioè malvagità e corruzione. Così anche il mosaico appare più chiaro. Sul lato destro ci sono le pecore buone: ricevono il cibo dalle mani del pastore come dalle mani di un amico. Esse infatti si nutrono dell’alleanza e stanno di fronte a un monte a gradoni del tutto simile a quello dove siede il pastore. Le altre pecore, invece, stanno un poco a distanza e, pur guardando verso il pastore, restano di fronte a un monte che ha la forma dell’altare pagano. Cristo volge loro uno sguardo serio e preoccupato: sono le pecore dell’altro ovile, quelle pagane, quelle che non si lasciano condurre, che non lo vedono con amico (re’eh appunto) ma sono dominate dalla malvagità e dalla corruzione (ra’ah). Ma egli, il Ro’eh, rimane pastore: non le abbandona e mostra loro la via. Per questo, proprio dalla loro parte, egli incrocia i piedi come volesse salire un’altra volta sulla croce e dare la vita per loro.
Nella vicina Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, a poco meno di un secolo di distanza, la scena è totalmente mutata e l’organizzazione dello spazio e della composizione molto più didascalica. Cristo sta ancora in mezzo alle pecore e queste sono ancora tre da un lato e tre dall’altro. Qui però si allude chiaramente al Giudizio universale (le pecore alla destra del Signore e i capri alla sua sinistra) e alla scena di Giacobbe che divide il gregge del suocero Labano tenendo per sé (con l’inganno) le pecore macchiate. Cristo non ha più il bastone perché non è più pastore, ma giudice. Non siede su una roccia a gradoni, ma sopra un trono di pietra. La croce è rimasta solo nel nimbo e accanto a lui stanno due angeli. Uno rosso, simbolo della regalità e della luce, e uno blu, simbolo delle tenebre e delle realtà terrestri.
Così, davanti all’angelo azzurro ci sono i capi striati, quelli cioè segnati dal peccato, mentre le pecore immacolate stanno davanti all’angelo rosso, segno di coloro che si sono purificati nel sangue dell’agnello e dunque godono della vita del Redentore. La mano del Cristo, infatti, è aperta verso queste pecore ed esse hanno un aspetto pacifico e sereno. Non così i capri dall’altra parte che, vedendo ritirata la mano del Pastore, si sono fatti vicini e tremanti. Anche qui permane una struttura a chiasma, infatti l’angelo delle tenebre guarda verso le pecore salvate e sorride, quasi per rassicurare loro di non essere destinate alla morte eterna, diversamente invece l’angelo della luce, quello rosso, guarda il gregge macchiato con la severità di chi dice, questo Regno non è per voi. Se l’arte di Galla Placidia era preoccupata di rassicurare i cristiani appena usciti dall’oscurità delle catacombe che la salvezza è certa per quanti amano il Salvatore, qui si comincia a mettere in guardia gli stessi cristiani che non basta questo nome per essere salvati, ma occorre l’amore a Cristo e la coerenza della vita.
Immagini
Lunetta del Buon Pastore, mosaico del V secolo (dopo il 425) Mausoleo di Galla Placidia Ravenna
Giudizio Finale, mosaico tedoriciano (culto ariano), VI secolo(505 d.C) basilica di Sant'Apollinare Nuovo Ravenna
Da Avvenire, Dentro la bellezza
venerdì 16 maggio 2014
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