giovedì 26 marzo 2015

Il gatto di Maria, candido «cacciatore di anime»

La leggenda vuole che la Madonna avesse un gatto, forse soriano, perché nel manto di quest’ultimo vi sono stirature a forma di M, come Maria. Il gatto, del resto, compare in molte opere d’arte a soggetto religioso e con diversi significati. Nel Medioevo il gatto fu spesso cacciato e ucciso perché associato alla malignità e al demoniaco, ma dal XIV secolo, dopo la peste nera diffusa in Europa attraverso le pulci dei topi, il gatto iniziò essere rivalutato. Molte annunciazioni ritraggono l’animale accanto alla Vergine: seduto o acciambellato oppure spaventato e in corsa, come in quella del Lotto a Recanati.

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Qui è evidente il significato negativo. Per il Lotto quel gatto passa come per caso ed è sorpreso, quasi sopraffatto, dalla presenza dell’Angelo. Gli occhi luminosi non sono solo capaci di vedere nel buio, ma vedono anche la presenza del Mistero. L’ombra che si proietta sul pavimento è più scura e quindi, benché piccola rispetto a quella dell’Angelo, minacciosa. Il Lotto non manca di ironia, nel riprodurre il gatto: gli animali vedono spesso meglio degli uomini le cose di Dio. Sorprende per questo lo scatto di Maria che volta alle spalle alla Parola e si volge a noi. Volta le spalle all’ascolto di quella Parola perché ora, grazie a lei, diventa visione. Maria segna il passaggio dal primo a Nuovo testamento. L’espressione del felino è unica: nella sua paura s’intuisce come egli abbia qui la percezione della fine. L’incarnazione è il primo grande colpo dato al Maligno: da qui inizia il suo declino e la sua sconfitta.

Anche Pietro da Cemmo realizza un affresco in cui la Vergine ha appena ricevuto l’annuncio e lo Spirito Santo sta per spiccare il volo per compiere la grande opera dell’Incarnazione. Non a caso lo si vede sopra un alto leggio ove compaiono tre libri. Sono le tre parti della Bibbia ebraica, la Tanach e cioè: la legge, i profeti e gli scritti.

Questa Parola ora si fa’ carne nel grembo di Maria. Bianco è l’abito della Madonna, come lo Spirito Santo, come il letto intonso che sta alle spalle di Maria e, infine, come il gatto che riposa indisturbato sul leggio. Il felino, capace di ingannare il topo e catturarlo velocemente è segno della vigilanza di Maria ed è bianco, appunto, come la grazia di cui ella è ricolma che la protegge dal peccato.

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In tal senso il gatto è anche immagine di Gesù, cacciatore di anime.

Talora, come in un altro affresco di Pietro da Cemmo a Esino, il gatto è nero, ma senza alcun riferimento superstizioso, anzi veglia sugli zoccoli, che la Vergine ha tolto da poco, simbolo della sacralità del luogo e dell’evento. Se nell’affresco di Esino la pienezza del tempo è resa mediante una clessidra che sta per esaurire la sabbia, qui a Bagolino è significata da una candela che poggia su un libro chiuso posto sul davanzale di una finestra, sopra il capo della Madonna.

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Quel libro è il Vangelo ancora sigillato perché in procinto del compimento. Sì, l’ora è giunta. È l’ora della Vita vera, come designa il manto verde-azzurro di Maria uguale al colore del Vangelo, ma è anche l’ora della passione come si vede dalla fodera del manto della Madonna o dalla tenda o anche dalla copertina di un altro volume appoggiato al davanzale. Qui comincia quella passione che culminerà per lei in un altro annuncio: sotto la croce diventerà Madre dei discepoli, madre della Chiesa. In quel libro coperto di rosso è racchiusa la passione dei martiri e dei Santi che, come Maria, scrivono il Vangelo con la vita. Su di essi Cristo vigila, come il gatto bianco della Madonna.

Le immaginiGiovan Pietro da Cemmo. L’annunciata, 1483, affresco sulla parete destra del Presbiterio, chiesa di San Rocco Bagolino (BS).
Giovan Pietro da Cemmo. L’annunciata, 1491, particolare affresco sulla parete destra del Presbiterio, chiesa di Santa Maria Assunta, Esino (BS)
Lorenzo Lotto Data 1534 circa olio su tela 166×114 cm Museo civico Villa Colloredo Mels, Recanati

(Fonte: Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza)

giovedì 19 marzo 2015

Quel porridge di San Giuseppe per Gesù

Solo in dieci paesi di tradizione cattolica la festa del papà cade nel giorno di San Giuseppe, altri, seguendo una tradizione metodista, preferiscono la terza domenica di giugno. In Italia la si festeggia dal 1968 ed è spesso accompagnata da grandi falò e piatti singolari. Molto prima della questione Luterana, del resto, il ritratto di Giuseppe alla presa coi fornelli non era cosa insolita.

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Nel bellissimo altare della Passione di Conrad von Soest, in Vestfalia, vediamo san Giuseppe inginocchiato mentre attizza con gran foga un fuoco sopra il quale sta un pentolino. La Madonna, invece, serenamente avvolta da una coperta rossa, come la carità di Dio di cui è ricolma, è seduta sul letto e abbraccia il Divino Infante. Gesù si aggrappa al collo della madre per baciarla. Come mai la Madre non lo allatta? Contrariamente alla gran fortuna delle Madonne del latte mediterranee, in area tedesca la prova del parto verginale di Maria stava nel fatto che lei non avesse latte. Così è san Giuseppe, il padre, che si occupa della pappa di Gesù. E la pappa è il porridge, alimento indispensabile in molti paesi d'oltralpe, una crema a base di avena e latte, spesso addolcita con il miele, cara ai bambini. Il porridge di san Giuseppe ha una valenza simbolica: secondo l'oracolo di Isaia, il Messia avrebbe mangiato panna e miele per apprendere la distinzione fra bene e male. Gesù imparerà dalla vita, e dal padre putativo, quel discernimento fra bene e male del quale egli sarà giudice infallibile. Accanto a san Giuseppe ci sono altri due oggetti, un pitale e una fondina con cucchiaio: sono la prova della veridicità dell'Incarnazione, Cristo è vero uomo. Egli non poté fare a meno di una Madre, ma non volle neppure fare a meno di un padre. Se Maria amò Cristo anche, com'è naturale, attraverso un legame viscerale, san Giuseppe no. Egli visse la sua paternità all’esterno e in modo gratuito. La paternità è il segno grande di qualcuno che, amandoti dall’esterno, diventa estensione delle viscere materne.

In un'altra opera, questa volta danese, un affresco del XV secolo nella Chiesa di Elmelunde, addirittura Giuseppe assaggia la pappa di Gesù per sincerarsi del punto di cottura, del calore e della bontà del cibo da somministrare al Figlio. Anche qui egli sta all’esterno ed è intento a ravvivare il fuoco che arde sotto la pentola.

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La Madonna, invece, adora in ginocchio il suo Divin Figlio stando al sicuro sotto la capanna. Il volto di San Giuseppe è umano e totalmente preso dal suo compito di «nutrice». In lui - come nel goffo Giuseppe di Soest a bocconi sul fuoco - risplende l'immagine di un altro papà, quell’Abbà che, pur lontano, è sollecito nella custodia dei suoi figli. La figura paterna negli ultimi anni, a causa della confusione tra i due sessi generata dal movimento femminista e dalla filosofia del gender, è stata fortemente penalizzata. Il buon San Giuseppe che prepara il porridge non testimonia l’emancipazione di una donna, Maria, che si rifiuta di cucinare ma, al contrario, assicura la tenerezza di un amore che ti ama anche dall’esterno, che ti vuole e si prende cura di te.

Immagine:
Conrad von Soest, Altare della Passione (altare Wildungen) 1430 com 73,5x60,5 Tempera su tavola Chiesa di San Nicola Bad Wildungen.

Maestro di Elmelunde XV secolo Affresco San Giuseppe prepara la pappa a Gesù, particolare della Natività. Elmelunde Kirke Danimarca.


Fonte: Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza

domenica 8 marzo 2015

I discepoli di Emmaus (Arcabas, 1994)

Fonte:  don Antonio Scattolini, Responsabile del Servizio Pastorale dell'arte della Diocesi di Verona

Il ciclo pittorico dedicato ai Pellegrini di Emmaus (1993-1994) è opera di Arcabas, pseudonimo di Jean Marie Pirot. La caratteristica peculiare di Arcabas è una certa ingenuità, uno sguardo di candore nel descrivere l'evento sacro, un'ingenua semplicità che rende tutto lineare, di facile lettura, così come per i nostri padri erano di facile lettura i grandi cicli d'affreschi che decoravano le pareti delle chiese.
I pellegrini di Emmaus

Il tutto prende avvio dalla tavola che ci presenta i tre personaggi del Vangelo: i due pellegrini e il misterioso viandante che si accosta a loro durante il cammino. I tre sono visti frontalmente, dietro i loro piedi possiamo notare le tracce del cammino fatto. Mani e volti parlano dei fatti appena passati che il misterioso viandante (si noti il volto di luce dai lineamenti misteriosi e non marcati) pare non conoscere; parole di sconforto, fatti tragici davanti ai quali la loro speranza si è miseramente infranta. Parlano ma non si guardano in faccia e non guardano il pellegrino che è con loro. Sono quasi scomposti nel procedere, quasi sembrano cadere, solo chi è tra loro è diritto, saldo sul bastone a cui si appoggia (segno del bastone del buon pastore). Stanno fuggendo da Gerusalemme per riprendere la vita di prima ma con una grande amarezza.
La parola come un seme
Il misterioso viandante li ascolta con attenzione e poi apre la loro mente alla comprensione delle Scritture; quelle parole non sono fredde ed asettiche spiegazioni, ma sono coinvolgenti riferimenti ai fatti che loro hanno visto, a parole che loro hanno già sentito. Il cuore dei due si riscalda, la memoria si risveglia dal torpore; all'amarezza della delusione subentra pian piano la speranza di un possibile re-inizio, di un possibile ritorno a ciò che avevano visto e che aveva conquistato il loro cuore.

Una porta aperta

Eccoli ora sulla soglia: la porta è aperta, una tavola con una bella fruttiera campeggiano in primo piano ad indicare la quotidianeità dell'esistenza; i due invitano il misterioso pellegrino ad entrare e a restare con loro per quella sera, dopo quel tratto di cammino fatto insieme. Se prima c'erano delle ombre ora è pura luce, se prima erano piegati dalla delusione ora sono eretti, in atteggiamento di supplica, se prima i loro occhi erano ciechi ora vedono e insieme guardano il loro compagno di cammino. Il pellegrino è una forma scura contro la luce dello sfondo, si nota il bastone, il suo leggero piegarsi accetta l'invito e con loro si siederà a mensa.
Una tovaglia che viene stesa

Ora sono entrati, si sono seduti: il momento è conviviale e solenne insieme. Tutto è mistico, a partire dai colori usati, dai simboli che si notano (una croce), dal fondo sagomato su cui si stagliano i tre personaggi. Al centro il pellegrino ha il volto in parte in ombra, gli occhi abbassati, il gesto benedicente sulla coppa che gli sta davanti. Il discepolo a sinistra osserva con sguardo intenso l'ospite, mentre l'altro versa del vino al convitato. Momento di convivialità e di attesa, di silenzio carico di ascolto per quell'uomo che riscaldava il cuore, per quelle parole che svelavano una speranza nuova.
La scomparsa

La frazione del pane della tavola precedente ha rivelato l'identità del misterioso ospite: era Lui, era Gesù! Sconcerto e meraviglia si legge nello sguardo di uno dei due e nella mossa repentina dell'altro, tanto da far cadere la sedia su cui era seduto. Dietro a loro la luce ed una piccola croce a segnare l'evento cui hanno assistito, ad identificare il misterioso pellegrino che li ha ascoltati e li ha istruiti. La mensa è ancora imbandita, il mestolo è ancora nella zuppiera eppure non è il tempo di restare, di fermarsi; dopo lo sconcerto e la meraviglia i due dovranno riprendere di nuovo il cammino.
Il ritorno
E così avviene. La tavola rimane ancora apparecchiata: piatti, posate, bicchieri pieni, la zuppiera, il candelabro spento, la tovaglia raccolta, i tovaglioli abbandonati, la sedia rovesciata...tutto parla di un'uscita frettolosa, tanto che la porta è ancora spalancata e fuori si vede un cielo nitido, blu intenso, punteggiato di stelle. La soglia è aperta così come il loro cuore e la loro mente si sono aperti alla speranza ed alla comprensione. Non è tempo per commentare, ma di annunciare ai fratelli a Gerusalemme quanto è avvenuto, che il Signore è veramente risorto e si accompagna misteriosamente ai suoi.


venerdì 6 marzo 2015

La ragazza con l'orecchino... e la Coca Cola

Non ci sono operaie morte all’origine della festa della donna. Né ci fu mai una ditta Cotton andata a fuoco l’8 marzo1908. L’unico incendio newyorkése degno di nota accadde il 25 marzo del 1911 nella fabbrica Triangle, dove perirono 146 persone, fra uomini e donne, di origine ebrea e italiana. La festa della donna tradizionalmente collocata l’8 marzo si basa, dunque, su una leggenda metropolitana. Ma un incendio c’è stato in questo secolo: è andata in fumo l’immagine della femminilità e del senso profondo dell’alterità della donna rispetto all’uomo. Guardando l’opera di un artista contemporaneo, Alfonso Rocchi, vien proprio da dire: che cosa è cambiato? Che cosa è cambiato dal clima culturale in cui viveva il grande Jan Veermer ad oggi?

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Non si può fare a meno di pensare, infatti, davanti a questa Nobildonna con Coca Cola, alla ragazza con l’orecchino di Vermeer. Eppure quale diversità! Il volto della modella, in Vermeer, è avvolto nella penombra, è allusivo e sensuale nella luce che bagna appena le labbra, la medesima luce che fa risplendere il pendente di perla, eppure ha un che di innocente, di immacolato: ha bellezza della verginità del cuore. Gli occhi della ragazza di Vermeer ti catturano, ma ti lasciano dove sei. Non nascondono le pulsioni della nostra umanità, ma esse non rappresentano il cuore della narrazione pittorica. C’è ben altro. Quello sguardo ti porta dentro, è un invito a entrare nel mondo interiore di lei, fatto di domande e di desiderio d’infinito. Nel buio di Vermeer si spalanca il mistero. La sua modella passa, come d’improvviso, davanti all’oscurità del Mistero e diventa rimando. Volto che rinvia ad altro: a un infinito impalpabile ma reale, irraggiungibile, eppure presente. Guardi la ragazza di Rocchi e il buio diventa enigmatico. I tratti di lei, levigati e purissimi, il collo sinuoso che ricorda la lezione di Modigliani, avanzano verso di te, interrogano. L’acconciatura della nobildonna, così particolare, rievoca la medusa, ma lo sguardo no. Gli occhi diseguali, uno verde e uno azzurro, sono carichi di magnetismo e dietro l’apparente innocenza vibra l’interrogarsi moderno sul senso della vita.

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Lo spazio dell’interrogazione è evidente, si consuma tra l’abito della donna, curato nei dettagli, quasi rinascimentale, e la bottiglia di Coca Cola, lì in primo piano, disturbante e anacronistica rispetto all’acconciatura della ragazza. Questo corpo, bello e curato, a quale destino andrà incontro? Non si avvia inesorabilmente verso la putredine e i rifiuti, esattamente con il vuoto di una Coca Cola? A che una tale bellezza se morirò? È la domanda della medusa. È la domanda che si agita dietro a rivendicazioni di vario genere, le quali nascondono un presagio di morte da esorcizzare. Ecco cos’è cambiato fra Rocchi e Vermeer! È cambiata la percezione del Mistero. Chi rivendica di essere esclusivamente di se stesso, perde la dimensione misterica dell’infinito. Nella nobildonna con Coca Cola c’è la tragedia di una domanda senza risposta. C’è l’obnubilamento della coscienza rispetto al fine ultimo di tanta beltà.


Immagini
Alfonso Rocchi, Nobildonna con Cocacola, olio su tela, cm 45x 51,1 Collezione Privata
Johannes Vermeer  Ragazza con l’orecchino di perla, 1665-1666 circa olio su tela 44,5×39 cm Mauritshuis, L'Aia

(Fonte: Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza)

venerdì 27 febbraio 2015

Dentro al pozzo dell'inconscio il volto del Salvatore

La chiamavano Santa Maritana, nella Lombardia di un secolo fa. Non era difficile, all’inizio della quaresima, incontrarla per le strade e la contrade. Era una bambina, di solito, a impersonarla, mentre un altro bambino interpretava Gesù, entrambe ingaggiavano un dialogo davanti alle porte di casa, nei cortili, e la gente correva a guardare questa sorta di Vangelo vivo, rieditato dai piccoli per far meditare i grandi. Nessuno si è mai scandalizzato per la storpiatura del nome, tanto il popolo l'aveva già canonizzata da un pezzo, quella samaritana giovannea che lasciati anfora e mariti si era messa ad annunciare a tutti il Salvatore. Oggi conosciamo tutto di quella donna di Samaria, ma ci siamo dimenticati il Vangelo che ella annuncia: la gloria di un Dio Trino che vuole entrare in relazione con l'uomo e lo salva dentro un miracolo di grazia e di comunione. La Santa Maritana, finita la sua diatriba con Gesù, riscuoteva da tutti i presenti un piccolo obolo: erano gli ultimi dolciumi, residuo di un carnevale appena passato, o qualche spicciolo per rifare il tetto della chiesa. Così, preghiera, elemosina e penitenza, i capisaldi della quaresima, si vivevano in diretta, guidati dai bambini. Oggi l'individualismo ci ha bloccato dentro le nostre villette a schiera dagli ingressi nascosti, dentro gli interminabili piani di palazzi dalle porte anonime, di modo che nessun Vangelo in scena turbi le coscienze. Un dipinto di un pittore tedesco, scomparso di recente, ci racconta bene l’esperienza di questa Samaritana post contemporanea. Il sole è allo zenit, per i Vangelo, come per Sieger Köder.

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Il sole è allo zenit ma la donna è dentro il suo nadir rappresentato da un pozzo senza fine. Proprio da questo pozzo, cioè dalla solitudine di questa donna che per la vergogna attinge acqua a mezzodì così da incontrare nessuno, Köder ci racconta la scena. Da dentro il pozzo vediamo, in alto, la samaritana, avvenente, con l’abito rosso scarlatto e i capelli sciolti, simboli di sensualità. Grazie al dialogo con Cristo, il quale però non si vede, decide di guardare nel suo nadir, dentro al pozzo dell'inconscio dove talora a ci sprofonda senza rimedio la moderna psicologia. La donna di Samaria guarda lì ed ecco che, con intuito sorprendente, Köder ci fa vedere nell’acqua del pozzo non solo il riflesso della donna, ma anche quello Cristo. Eccolo lì, stampato nell’inconscio, il volto misericordioso del Salvatore che, a differenza di Freud, mentre ci fa vedere i nostri peccati ci rende l'abbraccio della sua compagnia, riscattandoci dall’individualismo che debilita e uccide. Non lo può vedere, invece, Cristo, ne pare sentirne l’abbraccio, la Samaritana dipinta da Julio Romeo Torres, pittore spagnolo morto nel 1930.

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Il realismo di Torres consegna la samaritana alla sua anfora. Egli la coglie prima della resa, ancora tenacemente attaccata al suo pensiero e alle sue abitudini mondane. Gesù le sta vicinissimo anzi, la invita quasi abbracciandola a una verità che sta più in alto, ma lei non pare desiderosa di capire. La Samaritana spagnola né guarda nel pozzo della sua miseria, né si lascia provocare dall’invito a guardare più in alto. Rimane lì con gli occhi fissi su di noi, forse un poco accusandoci di essere simili alla generazione di Cristo: «vi hanno suonato il flauto e non avete ballato, vi hanno cantato un lamento e non avete pianto». Sì, la donna di Torres ci somiglia di più, un po’ di più della samaritana di Köder. Forse dobbiamo deciderci a guardare nel profondo della nostra oscurità per ritrovare la luce che permetta di mirare più in alto e riprendere consapevolezza di ciò che siamo e di sia Colui che ci ha generato.

Immagini:
Sieger Koder, Die frau am Jakobsbrunnen (La donna al pozzo di Giacobbe) olio su tela, 2001, Museo Ellwange Bild und Bibel
Julio Romero de Torres (1874-1930) La Samaritana olio su tela Cordoba

(Fonte: Avvenire, rubrica Dentro la bellezza)

mercoledì 18 febbraio 2015

La luce di Cristo sulle ceneri dell'umanità ferita

«Polvere sei e polvere ritornerai» era il versetto biblico che un tempo accompagnava l'imposizione delle ceneri all'inizio della quaresima, oggi preferito a un più innocuo «Convertiti e credi al Vangelo». Eppure il senso delle ceneri era proprio lì, nascosto in un memento mori che rendeva urgente dare senso e serietà alla vita. Oggi abbiamo addolcito i gesti liturgici ma, il memento mori, lo offre la cronaca quotidiana senza però ottenerci alcuna conversione, anzi. Alla morte ci si abitua e appare qualcosa di lontano che mai ci toccherà. Un'arte piena di cenere era quella dell'artista polacco Zdzislaw Beksinski, talmente visionario che le sue opere hanno faticato a trovare una sede museale per ricordarlo. Beksinski è morto dieci anni fa dopo aver visto gli orrori della guerra, quelli del comunismo, dopo aver visto morire la moglie prematuramente e il figlio suicida. È morto barbaramente accoltellato, ma la sua profezia vive ancora e in alcune sue opere è palese. Una impressiona per l’attualità: in un panorama fuligginoso, di cenere appunto, campeggia un albero maestoso la cui forma evoca l'albero della vita o la menorah.

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Certo è un albero di alberi giacché il suo tronco pare sorreggere una schiera interminabile di altre piante e non solo. Proprio in corrispondenza del tronco sta un piccolo edifico, simile a una chiesa o a un faro, che denuncia inequivocabilmente la natura religiosa dell’albero. Un cono d'ombra, però, all'orizzonte nasconde, solo per un attimo, il divampare del fuoco il quale, avendo già arso alcuni rami dell'albero sembra inarrestabile e pronto ad inghiottire il resto. Davanti all'albero un mare di fuoco o di sangue registra l'eccidio. Sembra la drammatica immagine registrata alcuni giorni fa da tutte le Tv del mondo, un tragico reportage di 21 cristiani copti giustiziati lungo il mare, colpevoli solo, come ha detto il papa, d’esser cristiani. E impressiona come Beksinski abbia posto in evidenza, quasi come firma minacciosa, una mezzaluna. Una luna nera, in primo piano, in mezzo al sangue, una luminosa, sullo sfondo come sole sinistro che sorgerà, prima o poi, su un panorama desolato.
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In un’altra opera un muro sta come quinta impassibile di fronte a una figura scheletrica avvolta scheletrica avvolta in un lenzuolo azzurro dalla luce sinistra. La figura è ricurva sopra una culla, dove appare ben visibile la R, forse di Rzymski (cattolico-romano), e la croce. Sulla parete sta, come promessa di un destino certo, il Cristo crocifisso. I corvi gli devastano il volto e altri sono in attesa di piombare su di lui per dilaniarlo. La scena è alquanto macabra, eppure è la profezia dell'odio anticristiano che vorrebbe cancellare dalla faccia della terra ogni sua radice. A ben guardare la foggia della morte è arabeggiante, sorveglia la creatura con la pazienza elefantina di chi ha un compito ben determinato e chiaro. La nostra quaresima inizia così con la minaccia di un potere che sa bene dove vuole arrivare e che attende, con pazienza e silenzio da anni, ciò che ora viene alla luce. Ci sono due punti luminosi però, nel dipinto di Beksinski, uno è il cuore di Cristo, lucente e fermo come il Santissimo Sacramento, l'altro è un rigagnolo di luce che esce dalla culla. Un telo sindonico tenace che testimonia di fronte all’unguento rovesciato e alla morte la sua vittoria. Prendere le ceneri allora, sia per noi, non un rito stanco, incapace di toccare vita e cuore, ma il segno di un'urgenza: quella di riprendere in mano seriamente la nostra vita e la nostra fede. Ed essere certi, più certi, che ancora oggi è possibile del trionfo della verità.

ImmaginiZdzislaw Beksinski Senza Titolo (DG-2224) cm 87 x 73, olio su faesite, 1979 Collezione dell’Artista.
Zdzislaw Beksinski Senza Titolo (In hoc signo vinces: DG-2216) cm 87 x 73, olio su faesite, 1974 Collezione dell’Artista.

(Fonte: da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza)

venerdì 13 febbraio 2015

L'abbraccio d'amore eterno di San Valentino

Pochi sanno che la festa di San Valentino, tra le più popolari del mondo, è nata per opporsi a certi licenziosi festini pagani (i Lupercalia) celebrati proprio tra il 13 e il 15 febbraio. All’origine della festa sta un santo vescovo vissuto nel terzo secolo e divenuto rapidamente famoso per i suoi miracoli: guarì epilettici e restituì la vista a una fanciulla pagana, conquistando a Cristo l’intera famiglia. Benché perseguitato a lungo, raggiunse la veneranda età di novantasette anni, che coronò col martirio. Tra i miracoli leggendari, che ne fecero il santo degli innamorati, ve n’è uno che si è rivelato vero. A Terni, quattro anni or sono, sono state ritrovate le ossa di due fidanzati, seguiti da San Valentino, dalla storia controversa. Erano Sabino e Serapia: lui centurione romano e pagano, lei cristiana fervente. Per amore di lei, Sabino si convertì al cristianesimo ma scoprì, poco dopo, che Serapia era ammalata di tisi, malattia allora incurabile. Non volendo separarsi da lei, Sabino si rivolse a San Valentino il quale benedì le loro nozze e pregò per l’eternità del loro amore. I due morirono abbracciati e ancora oggi le loro ossa riposano in quella postura.

 
 
Un abbraccio simile lo ritroviamo in quest’opera di Margarita Sikorskaia, artista russa, che vive e opera negli Stati Uniti. Pur carico di sensualità l’abbraccio tra questi due innamorati conserva in sé qualcosa di eterno, proprio come l’abbraccio dei fidanzati ternani. Le loro vesti, bianche e rosse, rimandano alle due dimensioni dell’amore eros e agape che, nell’amore cristiano vivono abbracciati. L’oscurità che incombe all’orizzonte sembra rimandare al pericolo di una morte che, mentre sottrae i corpi alla terra, come testimoniano Sabino e Serapia, non può sottrarre l’amore all’eternità. Una leggenda che consegna san Valentino all’amore umano narra che il vescovo, vedendo due fidanzati litigare si avvicinò, dando loro una rosa. Dopo aver pregato, il cielo si riempì di coppie di colombi che tubavano, volteggiando sopra i due innamorati. Pace fu fatta e così, accanto all’abbraccio dell’amore, anche le colombe entrarono a pieno titolo nella simbologia di San Valentino, tanto che l’espressione “piccioncini”, riferita agli innamorati, sembra derivare proprio dal leggendario miracolo del Santo.
 
In una chiesa del XV sec, ora anglicana, a Tenna nel Canton dei Grigioni (Svizzera) dedicata a San Valentino, tra i fregi che corrono lungo il soffitto di legno, risalenti al XVIII secolo, ci sono proprio due colombi rivolti l’uno verso l’altro.
 
 
 
La colomba, che ai tempi di San Valentino era noto come il volatile preferito da Afrodite, si trasformò in attributo del Santo e segno dell’amore puro e sempiterno. Oggi, ahimè, la festa di san Valentino celebra amori più vicini ai Lupercalia che al concetto cristiano dell’amore, difeso dal santo vescovo. Per i “valentini” cristiani, verginità e fecondità, eros e agape conservano un abbraccio carico di eternità che neppure la morte può dissolvere.

Immagini:
Margarita Sikorskaia, Two in the Hills, olio su tela 2010 Collezione Privata.
Chiesa Riformata in Tenna, XV sec fregio del soffitto ligneo. Safiental Svizzera Cantone dei Grigioni
 
Fonte: Avvenire (rubrica Dentro la Bellezza)