venerdì 31 gennaio 2014

La colomba segno del popolo che vive l'attesa




Sono sempre in mano a San Giuseppe le colombe, offerta dei poveri prescritta dalla legge di Mosè per il riscatto dei primogeniti. Il simbolo della colomba affiora qua e là in tutta la Scrittura caricandosi di volta in volta di diversi significati. Compare all’inizio del dettato biblico nell’episodio di Noè dove il patriarca pre-abramitico, al termine del diluvio, lascia partire una colomba per verificare lo stato dell’emersione della terra dalle acque. Quello che, collegato all’arcobaleno, è stato identificato come segno della pace è in realtà un simbolo molto complesso e dalle mille sfaccettature.
Nei mosaici della Basilica di San Marco, ad esempio, Noè libera dalla finestra dell’arca una colomba immacolata, segno del popolo redento dal battesimo e guarda, non senza preoccupazione, il corvo che ancora si attarda sulle carogne che galleggiano sull’acqua. Il corvo allude all’uomo ancora peccatore che, incurante degli eventi salvifici divini, indugia nelle vie delle sue inclinazioni malvagie.Era chiaro, dunque, ai cristiani del XII secolo che la colomba, per il suo verso lamentoso e gutturale, fosse segno del popolo che geme per il desiderio del tempio (e quindi del sacrificio) e della salvezza messianica.


Così, anche nell’offerta sacrificale per il tempio, le coppie di tortore o colombe venivano a simboleggiare la struggente attesa del Messia: una di queste serviva per l’olocausto, l’altra per il sacrificio espiatorio. In una singolare Presentazione di Gesù al tempio, di Quentin Massys, le colombe si trovano al centro della scena.
Le offre a Simeone uno spaventato Giuseppe, che pare improvvisamente consapevole del significato del gesto religioso che sta compiendo. Quel riscatto del primogenito sarà solo l’inizio di ben altro riscatto: mentre Giuseppe riscatta Gesù, riconoscendolo come figlio, un altro Padre – Dio stesso- riscatta l’umanità per mezzo di quel Figlio. Massys, allievo di Memling e fondatore della Scuola Fiamminga di Aversa vede, nell’evento della Presentazione, la professione di fede nell’avvento del Messia da parte di Maria e Giuseppe e, con loro, del popolo degli anawim. Colomba, del resto, in ebraico si dice «jona», nome del profeta immaginario che simboleggia l’intero popolo di Israele.

Se Giuseppe, infatti, regge le sole colombe, Maria porta una candela segno della sua fede in Cristo e nell’opera di redenzione che proprio da quel momento prende avvio. Dietro a Giuseppe si scorge la profetessa Anna di Fanuele, anziana frequentatrice del tempio di Gerusalemme, la quale pure regge la candela. Sullo sfondo altre quattro candele, segno dei punti cardinali, narrano di altre professioni di fede destinate a moltiplicarsi. L’umanissimo Gesù Bambino di Massys sembra spaventato. Una colomba lo guarda, è quella che sarà data in olocausto, come avverrà a quel bimbo un giorno sulla croce; l’altra invece guarda noi e chiede, implicitamente, la nostra disponibilità a offrire ogni giorno il sacrificio della nostra fede.

fonte: Avvenire, rubrica Dentro la bellezza

giovedì 23 gennaio 2014

Il bastone, segno di comando e guida divina

La narrazione apocrifa vuole che alcuni discendenti di Giuda, i quali potevano ambire a prendere in moglie la vergine Maria, dovessero consegnare al sommo sacerdote un bastone con inciso il loro nome. Il bastone che fosse fiorito all'ombra del Sancta Sanctorum, avrebbe indicato il prescelto.


1435 circa, tempera su tavola cm 65 x 47,6, Metropolitan Museum, New York

Ed ecco che rompe il bastone con rabbia il mancato pretendente di Maria: lo racconta spesso l'iconografia dello Sposalizio della Vergine dove protagonista, più che l'anello nuziale, è il bastone dello sposo. Lo si vede chiaramente in un'opera di Michelino da Besozzo, miniaturista del Gotico Internazionale, attivo in Lombardia tra il 1388 e il 1455. Nel suo "Sposalizio della Vergine" spicca, è vero, l'anello nuziale sull'abito giallo del sacerdote ma, centro vero del dipinto, è il bastone di Giuseppe che s'innalza verso le volte, in corrispondenza del rosone. Sul bastone verdeggiano timidi virgulti e riposa pacifica la colomba dello Spirito Santo, segno dell'illibatezza degli sposi.
Rispetto a opere dall'analogo soggetto, sorprende la scelta di Michelino di collocare al centro del dipinto proprio San Giuseppe e il suo bastone fiorito; Maria e le donne, infatti, controbilanciano un altro gruppo di personaggi collocati alla sinistra dell'opera. Lì sono ben visibili altri bastoni: due giovani li stanno spezzando con gesti di stizza, mentre un terzo, confinato nell'angolo estremo, porta il bastone alla bocca, volendolo quasi ingoiare.
Il bastone, segno del comando e della guida divina, appare ripetutamente nella Sacra Scrittura quale strumento dei voleri divini.
Nel libro dei numeri si narra di un'altra verga fiorita, quella di Aronne. Rappresentanti delle dodici tribù, le quali avevano mormorato contro Mosè e gettato in discredito il sacerdozio di Aronne, portarono un bastone nel tempio con inciso il nome di ciascuno. Fiorì solo quello di Aronne e da quel momento la sua verga fiorita riposò nell'arca dell'alleanza quale perenne intercessione per la salvezza del popolo.
Ecco perché, il buon Michelino, volle così centrale il bastone di San Giuseppe! Il pio attributo del Santo non è solo segno della sua purezza, ma è memoria della fedeltà di Dio a una storia d'amore con il suo popolo. Il bastone è anche l'inseparabile compagno del pastore che guida il gregge, cosicché, nell'ambito del sacerdozio cristiano, distintivo del vescovo è proprio il pastorale, memoria perenne della verga fiorita all'ombra della shekinà, prima di Aronne poi di Giuseppe e, quindi, segno certo della guida divina.

fonte: Avvenire, rubrica Dentro la bellezza

giovedì 16 gennaio 2014

La noce, simbolo dell'uomo e della divinità

Potrebbe fungere da portale per la settimana dell'unità, l'opera giovanile di Piero della Francesca, che raffigura il Battesimo di Gesù. Benché l'artista aretino, morto nel 1492, non abbia conosciuto la successiva divisione fra Chiesa cattolica e Chiesa protestante, sullo sfondo egli cita – nei personaggi in foggia orientale – il Concilio di Firenze che tentò un accordo fra cattolici e ortodossi proprio sulla Trinità. L'opera offre un'intensa meditazione sul mistero trinitario, di cui il battesimo di Gesù è la prima epifania, ma nei suoi particolari si presta a diverse interpretazioni.



Non può sfuggire l'albero in primo piano il cui tronco bianchissimo è in totale corrispondenza con il candore della carne di Cristo. Si tratta di un noce, citazione allusiva alla valle di Nocea, dove, secondo la leggenda, i due fondatori della città di San Sepolcro (ritratta sullo sfondo) ebbero l'impulso a fondare la prima chiesa della futura città. La noce compare anche in altre opere d'arte, soprattutto nelle nature morte e già sant'Agostino la indicava come simbolo di Cristo: il mallo sta per la carne di Gesù, il guscio allude alla croce e il gheriglio alla natura divina di Cristo. I tre angeli, riletti alla luce dell'episodio di Abramo alle querce di Mamre, sono le tre persone divine. L'angelo dietro l'albero raffigura Cristo che morì affisso sul legno (di noce) della croce. La noce, proprio nelle sue parti, è anche simbolo dell'essere umano: il mallo è la carne, il guscio le ossa e il candido gheriglio interno la sua anima. Cristo assumendo, dunque, la nostra carne umana e, purificandola mediante la passione, l'ha reintegrata nella bellezza originaria. Infatti, nel dipinto di Piero, il neofita ritratto sullo sfondo, che ha ricevuto (o si appresta a ricevere) il battesimo, ha lo stesso incarnato bianchissimo del Cristo e dell'albero di noce. Come tutti i simboli, la noce possiede un'ambivalenza di significato. La famosa noce di Benevento si ricollega alle stregonerie (sabba), praticate sotto il noce nella notte di San Giovanni. Per esorcizzare questi riti infausti invalse perciò l'uso di raccogliere le noci per realizzare il nocino - una sorta di panacea della salute - nel giorno di san Giovanni Battista, il 24 giugno. Il battesimo, dunque, ci restituisce a quella bellezza di cui si godeva all'ombra dell'albero della vita e della conoscenza del bene e del male, simboleggiati appunto nei due alberi di Piero della Francesca, sotto i quali dimorano gli angeli.

fonte: Avvenire, rubrica Dentro la bellezza

giovedì 9 gennaio 2014

'Se non te', di Laura Pausini, un GRAZIE ai suoi genitori!

Nelle ciliegie l'amore e la passione di Gesù

Forse si era all’inizio dell’estate quando la sacra famiglia fuggì in Egitto, perché il Barocci, artista urbinate del XVI secolo, nel suo «Riposo durante la fuga in Egitto», oggi ai Musei Vaticani, ritrae San Giuseppe mentre porge al Bambino un rametto con due ciliegie. Le ciliegie, però, appaiono in diverse opere d’arte e non certamente connesse alla frutta di stagione com’è nel caso, ad esempio, delle ultime cene, dove la ciliegia fa bella mostra di sé sulla mensa, davanti al Cristo e agli apostoli.

Tutto questo ci induce a comprendere che le ciliegie sono simbolo evocativo di altro.
Nell’opera di Federico Barocci a ben guardare, tra san Giuseppe, il Bambino e la Madonna si scatena un linguaggio di gesti che, se sfugge a noi spettatori spesso distratti, non sfugge all’asinello ritratto sullo sfondo della scena, tutto intento a guardare la sacra Famiglia. L’asino del resto, non è solo la probabile cavalcatura dei tre fuggiaschi, ma è un simbolo che ci rappresenta. Nei presepi è l’immagine dei pagani che, grazie a Cristo, sono liberati dalla soma del peccato.
Rosso, come la passione che Gesù dovrà affrontare (e di cui il viaggio in Egitto è solo un inizio) è il mantello di san Giuseppe, rosso come il frutto che porge al Figlio. Gesù sorride e se con il braccio coperto dalla camicia, prende il frutto dal padre, con l’altro, nudo, porge le ciliegie alla madre. Il Bambino è colto nell’atto di liberarsi da quel lino che lo avvolge, rimando al telo sindonico che lo avvolgerà un giorno dopo la passione e che sarà testimone della sua risurrezione.
Le ciliegie, per la loro forma simile al cuore e per il loro colore, sono simbolo dell’amore del Cristo e del suo sangue versato sulla croce, che il seme del frutto simbolicamente rappresenta.
La ciliegia, succosa e dolce, è anche riferimento al frutto dell’albero dell’Eden che aveva ucciso Adamo ma che ora, grazie all’Incarnazione del Cristo, si trasforma in frutto di vita per gli uomini.
La Madre, che veste di rosso e blu, colori delle due nature - umana e divina - del Verbo, volgendosi idealmente verso di noi, appoggia una ciotola d’acqua limpida al suolo. Il gesto allude ai testi apocrifi che narrano di sorgenti miracolose scaturite per dar da bere alla sacra famiglia nel viaggio verso l’Egitto (o di ritorno da esso), ma rimanda anche, proprio nella ciotola d’acqua, al Battesimo che, quale frutto della passione di Cristo (le ciliegie appunto), ci salva dal peccato e dalla morte.
 
(fonte: rubrica Dentro la bellezza, a cura di Maria Gloria Riva, quotidiano Avvenire, 9/01/2014)

mercoledì 1 gennaio 2014

Buon Anno!