giovedì 25 giugno 2015

Il mulino della vita che macina il grano della verità

Esattamente duecento anni or sono, prima della rovinosa sconfitta di Waterloo (18 giugno 1815), Napoleone aveva organizzato il suo posto di comando in un mulino di Ligny. Posto più simbolico di quello, il grande Bonaparte, non poteva scegliere. Lo documenta con grande efficacia Ernest Crofts, pittore britannico, in una tela esposta nel 1875 alla Royal Accademy of Art di Londra. L’opera suscitò grande ammirazione per la resa dell’ambiguità della situazione del Generale francese.

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Sotto un minaccioso mulino sta, fiero e a cavallo, Napoleone Bonaparte mentre l’esercito si divide fra una colonna di soldati all’attacco e altri, invece, feriti e accasciati sotto il mulino. La battaglia di Ligny del 16 giugno 1815 fu vinta dalle truppe francesi ma rappresentò anche l’inizio della disfatta che si concluse a Waterloo due giorni dopo. Nella tela di Crofts le pale del mulino a vento disegnano, quasi profeticamente, la forma di una grande croce, alla sommità della quale pende un telo, quasi una bandiera bianca logora, presagio dell’imminente sconfitta. Il mulino è simbolicamente il luogo della resa dei conti, dove la vita e il tempo giungono inesorabili a pulire il grano dalla crusca. Le pale, che girano lentamente e muovono gli ingranaggi tutto macinando, sono simbolo del tempo, giudice assoluto della verità. Così anche per il grande e, apparentemente imbattibile, Imperatore giunse l'ora della verità.

Un senso analogo diede al mulino Pieter Bruegel in un'opera tornata recentemente alla ribalta per il film «I colori della passione». Una pianura estesa, del tutto simile a quella di Waterloo, vede truppe dalle giubbe rosse (gli spagnoli) soggiogare un popolo (quello delle Fiandre) fotografato nei momenti più diversi delle sue attività: lavoro, gioco, risse, vessazioni, ruberie. A fatica si scorge, nel più assoluto anonimato, Cristo che porta la croce dietro un carro, dove siedono altri due condannati, i ladroni, uno dei quali accetta di confessarsi. Solo la Madonna, san Giovanni e la Maddalena, in primo piano, indirizzano lo spettatore a una lettura religiosa del dipinto.

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Domina sul panorama un mulino altissimo, più alto anche del palo della tortura, indice di uno sguardo sovrano che giudica la storia. È vero, in quel mulino, come suggerisce il film di Majeswski, c'è Dio, il grande Mugnaio apparentemente lontano dalle vicende umane, anche dalla sorte del Figlio. Ma in realtà, per Bruegel, ivi è nascosta la macina della verità e la farina buona del dono di sé che, alla lunga, vince su tutto. Del grande Impero romano che mise in croce Cristo e perseguitato i cristiani, non c'è più traccia; degli spagnoli che vollero dominare le Fiandre e delle superpotenze di un tempo, compresa quella napoleonica, non c’è più taccia. C’è traccia invece bimillenaria di Cristo e della sua Chiesa, quella vera, che come Maria, Giovanni e la Maddalena rimane in trincea nell'ora della prova. Come si volle di Cristo la morte così si vorrebbe, ancora oggi, della Chiesa la fine. Ma né l'Isis, né la dittatura del pensiero laicista con le loro aberranti idee di uomo, riusciranno a trionfare perché, sopra tutto, e sopra tutti c'è il Mulino della vita che macina solo il grano buono della verità. A dispetto delle mode paganeggianti, vecchie peraltro come il mondo, e dei nuovi seminatori di terrore, c’è la silenziosa semina della Chiesa di Cristo che continua la sua opera.

Immagini
Ernest Crofts Napoleone dirige la battaglia di Ligny dal suo posto di comando nel mulino di Naveau (Ligny)-1785 olio su tela Collezione Privata.
Pieter Bruegel (il Vecchio). Salita al Calvario (1564). Olio su tavola di grande formato(124 x 170) conservato al Kunsthistorische Museum di Vienna.

Fonte: da Avvenire, rubrica Dentro la bellezza

sabato 13 giugno 2015

Il cuore di Gesù, lo sguardo che ci custodisce

Il cuore, nella Scrittura, non è la sede dei sentimenti ma quella dei pensieri più profondi e delle decisioni. Guardare al cuore di Cristo significa essere riportati alle scelte fondamentali dell’esistenza che chiamano a fare verità su noi stessi e sugli altri. Oggi non si parla più dei novissimi, eppure il dramma della morte e della finitudine della vita entra nelle nostre case ogni giorno a motivo dei fatti di cronaca: le calamità naturali, le persecuzioni impetrate contro i cristiani, gli omicidi più assurdi.

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Un tempo, la predicazione e le immagini disseminate nei libri di preghiera o nelle chiese, aiutavano molto a fissare lo sguardo sul proprio cuore e sulle conseguenze ultime delle scelte più segrete. Tra le molte l’iconografia legata al Sacro Cuore, si diffuse soprattutto dopo il 1650, ovvero dopo le apparizioni del Sacro Cuore a santa Margherita Maria Alacoque. Eppure da tempo il cuore di Gesù era venerato quale modello delle virtù cristiane. Alonso Cano, pittore e scultore spagnolo, già nel 1636 dipinse una curiosissima immagine del Cuor di Gesù. Il divino infante siede con un abito grigio, frusto, segno di quel lenzuolo che lo avvolse nell’ultima ora e qui tinto nel grigiore della morte. Pare addormentato e a questa interpretazione ci dirige il titolo: Gesù Bambino col cuore infiammato, ferito d’amore, Ego dormio et cor meum vigilat. Sì, io dormo ma il mio cuore veglia: le parole della sposa del Cantico dei Cantici sono poste qui in bocca allo sposo, Cristo che, nel sonno della morte, veglia su tutte le nostre ferite. È evidente, del resto, la ferita del cuore sul quale Gesù siede, indicando così l’abbandono al suo destino in un’offerta senza ripensamento. Gli occhi benché chiusi ci vedono, scrutando le nostre risposte. Il dito mignolo non è nascosto dalla guancia con gli altri e pare già arrosato di quel sangue che avrebbe di lì a poco versato sulla croce. Di fronte a immagini simili Santa Teresa di Lisieux maturò la sua piccola via, educandosi a vivere nella profonda coscienza del proprio limite e nell’infinita confidenza verso la misericordia di Dio. Il manto verde, che Gesù Bambino trattiene con la mano destra, è simbolo di quella vita che, a differenza di noi, egli può dare e riprendere di nuovo. Così il fedele, pregando di fronte a tali immagini, era spinto a guardare le brutture della vita presente con la fiducia di essere custodito dallo sguardo e dall’amore del Salvatore il quale, a dispetto dell’apparente silenzio, continua a vegliare su di noi con la tenerezza di un padre e la forza salvifica del suo Sacrificio.

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Un’altra opera, frutto di un anonimo peruviano del XVII secolo, ci offre l’effige di Gesù Bambino pittore che illustra ai suoi fedeli le verità ultime. Cristo non siede dentro un atelier, ma tra le pareti del suo cuore, modello di verità e di semplicità e dunque modello da imitare per raggiungere la vita eterna. Gesù, mentre regge tavolozza e pennelli, volge lo sguardo verso di noi, provocandoci a una risposta. Il suo corpo sta tra il paradiso e la risurrezione ultima, quella in cui verrà il giudizio (in alto), e morte e inferno (in basso). Scandagliare l’inconscio non è sempre facile e spesso le motivazioni del nostro agire sfuggono a noi stessi. Perciò attorno al cuore di Cristo sono rappresentati alcuni personaggi che offrono gli aiuti necessari per comprendere se stessi, gli altri e affrontare il viaggio della vita. A sinistra troviamo le virtù teologali: la carità chiede un cuore materno verso tutti: il bimbo allattato, figlio naturale, e l’altro bimbo che curiosamente indica la seconda virtù, la speranza. Questa legge il libro della Scrittura certa di trovare in essa il fondamento del suo sperare, ai piedi ha l’àncora della salvezza che impedisce di essere preda dei marosi della vita. In piedi e con lo sguardo rivolto a noi, come Cristo, sta la fede che regge il Santo Sacramento, luogo dove lo sguardo si purifica e ritrova la giusta lettura degli eventi. Gli angeli della tela sono Gabriele, Michele e Raffaele, testimoni dei doni divini: l’annuncio di Cristo (la fede); la vittoria ultima contro il male (la speranza); la cura che Dio ha per noi (la carità). Sigillo della scena è la Trinità: il Padre si sporge a guardare l’opera del Figlio e invia lo Spirito Santo. Così anche noi, oggi, come l’antico fedele di Cuzco, guardando questa immagine impariamo ad affidarci al Divino artista, attingendo ai colori delle virtù cristiane per fare della nostra vita un capolavoro.

Immagini
Alonso Cano, Gesù Bambino col cuore infiammato e ferito d'amore, Ego dormio, et cor meum vigilat, Olio su tavola, 1636-38, Meadows museum of Art, Dallas

Autore anonimo della Scuola di Cuzco, Il Bambino Gesù dipinge, all'interno del suo Cuore, le realtà ultime, olio su tela XVII-XVIII sec., Perù
 
Fonte: Avvenire, rubrica Dentro la bellezza

venerdì 5 giugno 2015

Cristo, il pellicano del deserto e dell'acqua

È diventato celebre a causa di San Tommaso il «pie pellicane», il Cristo pellicano che nutre i suoi piccoli, cantato nell’inno eucaristico Adoro te devote. Il pellicano è, nella storia dell’arte cristiana accanto al pane e al pesce, simbolo eucaristico per eccellenza. Spesso però l’immagine del pellicano compare nelle crocifissioni o con il Cristo sofferente come nell’opera di Lorenzo Monaco. In questo dipinto compaiono tutti i segni principali della passione: lanterna, denari, coltello, bastone, catino per il lavaggio delle mani di Pilato, gallo, flagelli, colonna, lancia, spugna, scala, calice, sepolcro e oli aromatici.

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C’è proprio tutto e i gesti dei persecutori del Cristo sono ritratti senza il corpo, quasi a ricordare, a chi contempla una tale summa di dolori, che noi pure siamo colpevoli di tanta violenza. Il pellicano campeggia alla sommità della croce, tra la luna e il sole, fra il tradimento di Pietro (accanto al sole) e quello di Giuda (accanto alla luna), attestando così che Eucaristia e passione di Cristo sono un'unica realtà. La corona di spine è ormai abbandonata alla sommità della croce e, da quest’ultima, un albero di vita già si erge a testimoniare che il corpo di Cristo, prossimo alla sepoltura, sarà glorificato. Il pellicano si ciba di pesce e, quindi, pesca per i suoi piccoli al largo trattenendo la preda nella sacca inferiore del suo becco. Una volta raggiunto il nido, apre il becco tenendo la punta dello stesso rivolta al suo petto onde facilitare ai piccoli la presa del pesce. In questa delicata operazione spesso, il pellicano si ferisce e rimane con il petto sanguinante. Ciò contribuì a generare l’idea che il volatile nutriva i piccoli con la sua stessa carne similmente a Cristo nell’eucarestia. La solitudine in cui versa il Pio pellicano, tradito da Pietro e da Giuda, è ricondotta alla Scrittura che nel salmo 101 afferma: «Sono simile a un pellicano nel deserto». I padri della Chiesa e Rabano Mauro, riconoscevano due tipi di pellicani: uno, di cui parla il salmo forse il capovaccio, che predilige le zone desertiche, l’altro che vive presso corsi d’acqua. Se il secondo è immagine di Cristo che nutre i suoi, il primo è segno della sua solitudine. Cristo è il solo nato da una Vergine, è solo nell’orto degli ulivi, solo sulla croce.
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Qui i piccoli nutriti sono due, come il comandamento nuovo: amare Dio e il prossimo, ma possono essere tre, oppure quattro, come in una miniatura del XIII secolo, dove il pellicano nutre i suoi piccoli nascosti nel nido. Nel becco dell’uccello, più simile a quello della cicogna che a quello del pellicano, ci sono quattro pani, altro simbolo eucaristico, e l’uccello tiene serrato fra le zampe un serpente che stata tentando un uomo. Quell’uomo è l’umanità insidiata dal serpente antico e distribuita nei quattro angoli della terra, i punti cardinali, come sono appunto, quattro i piccoli del pellicano, come la totalità delle genti che nel costato di Cristo trova dimora e ristoro. Il Pie pellicane ha raggiunto davvero i confini del mondo: la Louisiana, che l’ha scelto come bandiera, è chiamata Pelican State.

Immagini
Lorenzo Monaco, Cristo in pietà e i simboli della Passione, 1404, cm 268 x 172, tempera su tavola, Galleria dell'Accademia, Firenze
Ugo di Fouilloy, Miniatura Francese, Sloane MS 278 Avarium /Dicta Chrysostomi 1260-80 British Library, Londra

da Avvenire, rubrica Dentro la bellezza