lunedì 24 febbraio 2014

Generare futuro: slideshow per la Giornata della Vita 2014


Generare Futuro: flashmob Vita


domenica 23 febbraio 2014

Sulla sedia, per insegnare e servire la Verità

È famosa in tutto il mondo, la Madonna della seggiola di Raffaello, ma non sono in molti a sapere che «la seggiola» è un riferimento diretto alla sedia camerale, privilegio del Papa. Si suppone, infatti, che l’opera sia stata commissionata a Raffaello da papa Leone X per farne dono ai parenti fiorentini, quale grata memoria della sua ascesa al soglio pontificio.  La sedia camerale (come la cattedra o la sedia gestatoria), rimanda alla postura di chi, seduto, in-segna. Lungi dall’essere un privilegio nel senso mondano del termine era invece un simbolo forte di autorevolezza nella dottrina e d’insegnamento certo. La sedia camerale, come la cattedra, indica il luogo certo della verità. Non fa meraviglia che nel nostro tempo un tale segno sia scomparso e che anche il moderno designer non abbia più distinzioni chiare nell’elaborare le sedie e che, i sedili usati nei presbiteri, siano sempre più simili alle panche dei fedeli (quando va bene) o ai sedili anonimi di tante sale d’aspetto (quando va male).


Raffaello Sanzio Madonna della Seggiola, 1513-1514 circa, olio su tavola, 71cm×71cm Ubicazione Galleria Palatina, Firenze

Raffaello ha immortalato invece questo umile e possente segno distintivo e l’ha fissato nei secoli, così da obbligarci a non dimenticarlo. È la Madre di Dio che siede in cattedra. Lei è il segno certo della verità umana di Cristo. La somiglianza fra madre e figlio attesta che - come affermava Tertulliano - caro Christi, caro Mariae, cioè la carne di Cristo, Figlio del Padre, è carne di Maria, una carne come la nostra. La sapienza del Padre siede in seno alla Madre, «sede» appunto della Sapienza.
E mentre il Cristo bambino guarda lontano, intravvedendo già - forse - la perdita di senso e d’identità e di valori cui sarebbe andato incontro il popolo di Dio, la Madre continua a guardarci da quella sedia.
Dentro la circolarità della storia e delle teorie umane, le quali pur travestendosi sotto diverse spoglie ritornano instancabili e cicliche, la Madonna sembra ricordarci insistentemente e con amore che nessuno può esser detentore di certezze se non Colui che, unico nella storia, si è detto Via, Verità e Vita. In virtù del fatto che siede sopra quella sedia, Maria afferma che il potere della Chiesa, benché si vesta di panni temporali (come i panni dei quali è rivestita Maria) è in atto soltanto laddove si opera la carità della verità. 
Per questo – e ce ne accorgiamo solo ora - Cristo veste l’abito del servo: per ricordare al Papa che è Servum Servorum Dei e per dire a tutti noi che, se siamo stati liberati dalle logiche di questo mondo, è solo per servire la bellezza della verità.

fonte: Avvenire, rubrica Dentro la bellezza

sabato 15 febbraio 2014

Nel dramma di Narciso lo specchio dei tempi


Nella Roma barocca era esplosa la passione per i soggetti mitologici. Anche alti Prelati approfondivano i miti greci, cercando in essi tracce degli insegnamenti cristiani. Nell’opera, attribuita a Caravaggio, dal titolo Narciso, non ci è dato di vedere nulla della radura in cui si consumò il dramma dell’omonimo personaggio. L’interesse di Caravaggio come del suo committente (forse il cardinal del Monte) va verso l’indagine psicologica del soggetto, piuttosto che alla vicenda in sé. La storia, del resto, è nota: Narciso era così pieno di sé da non poter amare che un altro se stesso.
Quando si vide riflesso in uno stagno s’attardò tre giorni in contemplazione, finendo per abbracciare drammaticamente quell’immagine che lo porterà alla morte per annegamento. Lo specchio, nell’arte, come nella vita, è sempre segno di un bilancio, uno sguardo verso se stessi mediante il quale avviene un giudizio. In questo caso la proiezione nell’acqua mette a confronto virtuale e reale. Caravaggio, che non poteva certo immaginare le possibilità offerte al mondo da internet, già metteva in guardia il suo tempo dalle illusioni del virtuale. Ciò che vediamo riflesso nello stagno è una pallida immagine della reale bellezza di Narciso. Si rende così evidente, in modo plastico, come la verità sia sempre più bella di qualunque finzione. Il punto più luminoso del dipinto, dopo le maniche a sbuffo (che accompagnano lo sguardo a vedere le mani di Narciso già in parte sprofondate nell’acqua), è il ginocchio.
Questo ragazzo, in ginocchio con la bocca semi aperta quasi nell’atto di baciare, esprime compiutamente l’adorazione. Un’adorazione di sé dannosa poiché, proprio il ginocchio inondato di luce, ci fa intravvedere il dramma imminente. Narciso è un po’ lo specchio di questa nostra società con i suoi errori, tanto narcisisticamente ripiegata da essere incapace di scoprire, proprio nella diversità, una possibilità in più per conoscere se stessi. A entrare in questa conoscenza, del resto, mira il simbolo dello specchio nell’arte. 

fonte: Avvenire, rubrica Dentro la bellezza

mercoledì 12 febbraio 2014

Le grandi domande sono cambiate



Serve una nuova visione culturale, che investa la dimensione familiare, economica e lavorativa per uscire dalle strettoie del nostro secolo che vede nell'aumento dei consumi la risposta ai bisogni dell'uomo.

Continua a leggere l'articolo in http://www.dimensioni.org/2014/02/le-grandi-domande-sono-cambiate.html

giovedì 6 febbraio 2014

Il grembo, custode della vita e del destino eterno


Non esisteva l’ecografia nel 1505, eppure gli occhi della fede avevano già esplorato il mistero della vita. Certo: quello è il secolo in cui uomini coraggiosi e assetati di conoscenza contrattano i cadaveri con i becchini, al fine di esplorare il mistero del corpo umano. Tra questi ci sono Leonardo e Michelangelo, ma non sono i soli. I fratelli Strueb (non è chiaro se Jacob o Hans), artisti tedeschi vicini alla tradizione agostiniana, realizzano una delle più straordinarie Visitazioni della storia dell’arte. Due donne s’incontrano, immerse nell’atmosfera dorata dei fondi medioevali. Dietro alla Vergine si scorge una montagna.
È la montagna di Giuda, dove vive la cugina Elisabetta, ma è anche simbolo di quel Dio d’Israele che, apparso sul monte Sinai a Mosè, ora si sta rivelando al mondo intero in un volto umano. Dietro a Elisabetta, invece, c’è una casa. Lei è la donna del Patto, la donna della Casa d’Israele, da lei uscirà quell’Elia che i profeti avevano promesso, appunto, alla casa di Giacobbe: Giovanni Battista. Ed ecco le due donne, tese in un abbraccio sigillato nel tempo che giunge fino a noi. Gli Strueb non potevano certo immaginare quale significato avrebbe assunto, nel XXI secolo, quella danza di neonati in seno alle due madri. Per loro la vita era tale fin dal concepimento e l’uomo era persona fin dalla primissima origine. Perciò disegnano dentro i due grembi materni non solo i futuri nascituri, ma anche il loro destino.

Cristo sta in piedi, circonfuso di gloria, quella gloria che aveva prima che il mondo fosse e che il Padre gli restituirà intatta dopo i giorni del dolore che lo attenderanno; l’altro invece è già in ginocchio, è già in adorazione di una Presenza. Il futuro Giovanni è solo un feto (e oggi a stento sarebbe riconosciuto persona), ma già compie la sua missione di Precursore, deputato a riconoscere il Verbo della vita. Il «grembo»(in latino sinus), nell’arte come in tutta la Sacra Scrittura, è luogo di vita: dal concepimento fino alla morte naturale. Anche il paradiso è identificato all’interno della Bibbia come un grembo: il seno di Abramo, luogo dove l’uomo ritorna, trovando compimento e pace.


fonte: Avvenire, rubrica Dentro la bellezza