venerdì 29 agosto 2014

In coraggiosa difesa della barca di Pietro

Sta montando a cavallo, San Giorgio, per raggiungere la barca che lo attende sulle rive del Mar Nero. Ha già un piede nella staffa e, mentre s’insella, guarda imperioso verso il mare preso da un’urgenza: un enorme drago insidia l’oriente cristiano ed egli deve salvarlo.

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L’affresco di Pisanello ha sopportato pesanti infiltrazioni d’acqua perdendo molto della brillantezza dei suoi colori. Tuttavia si può ugualmente intuire la superba finezza dell’opera che si trova a Verona nella chiesa di Sant’Anastasia, commissionata all’artista dalla famiglia Pellegrini nel 1429. Il momento era cruciale e il tentativo di salvare l’impero bizantino dalla furia turca, vide avvicinarsi le chiese d’oriente e d’occidente. Così la barca ormeggiata in attesa del cavaliere è simbolo della Chiesa e il santo impersona i cristiani più coraggiosi che – lancia in resta - si scagliano contro il dragone turco. Soldati ottomani e uomini vestiti alla bizantina, confermano l’ipotesi dell’interpretazione storica. Una donna guarda silenziosa il cavaliere partente. Si tratta di Comnena, principessa di Trebisonda e, qui, personificazione di Costantinopoli in pericolo di vita a causa del drago. Sullo sfondo si vede Trebisonda, antica città portuale di fondamentale importanza per la navigazione. I marinai che attraversavano il Mar Nero dovevano tener d’occhio il porto di Trebisonda se non volevano cadere vittima di gorghi e tempeste, frequentissime in quel mare. Così perder la Trebisonda divenne paradigmatico del perdere la rotta della vita. Trebisonda, poi, sarà l’ultima città a cadere preda dell’impero ottomano (nel 1461), divenendo simbolo della resistenza cristiana. Due uomini torturati e impiccati denunciano il pericolo imminente. Il tema della barca di Pietro che vince il mare della storia e i suoi dragoni, conosce molte versioni. Un’icona del XVII secolo, cara alla Chiesa ortodossa, vede nella barca di Pietro la nuova Arca di salvezza. In ambito cattolico, la Navicella, presente in Vaticano, è un mosaico di Giotto semidistrutto e ricostruito da Orazio Manenti nel 1673.

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La copia più antica si trova a Strasburgo nella chiesa di Saint Pierre le Jeune, oggi protestante. Si tratta di un affresco del XIV secolo dove Pietro, sfidando la tempesta, cammina sulle acque verso Cristo. Nel mare imperversano demoni armati di spade, i quali non possono avere la meglio né su Pietro, perché sorretto da Gesù stesso, né sugli altri apostoli perché custoditi dalla navicella di Pietro.
Così il tema della barca abbraccia le tre confessioni cristiane richiamandoli all’unità proprio nel dramma della lotta contro i poteri dispotici. Il richiamo, oggi urgentissimo, vede nell’affresco di Pisanello un severo monito: non perdiamo la Trebisonda, non lasciamo in mano ad altri i punti di riferimento certi della nostra bimillenaria cultura cristiana.
Immagini:
Pisanello, San Giorgio e la principessa, affresco 1430 circa. Chiesa di Sant’Anastasia, Cappella dei Pellegrini, Verona.
La Navicella di Pietro, affresco XIV sec. Chiesa protestante di Saint Pierre le Jeune, Strasburgo, Alsazia
 
Da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza

lunedì 25 agosto 2014

La bandiera e la spada che sgominano i nemici


«Chi è costei che sorge come l'aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?». Questo versetto del Cantico dei Cantici (6,10), tradizionalmente applicato alla vergine Maria, non è mai preso troppo sul serio. L’uomo- e lo afferma ripetutamente il testo biblico- è incapace di coniugare giustizia e misericordia, verità e amore. Si oscilla fra un giustizialismo spietato e un buonismo senza giudizio.

Tuttavia, qua e là, nel panorama dell’arte e della fede balena una Madonna del tutto inusitata. Basterebbe, quando si è in vacanza, tenere il naso all’insù, levato verso i soffitti di certe chiese o certi altari, per rendersene conto. È il caso di Cortina d’Ampezzo, località turistica nascosta fra le Dolomiti. Qui, una chiesetta celebra la Madonna della Difesa. Quattro passi dentro la navata e, sollevando lo sguardo, vedi un bell’affresco attribuito al Tiepolo dove la Madonna appare veramente terribile, con la spada sguainata. L’immaginario collettivo (soprattutto di coloro che, o non sono cristiani, o non sono praticanti) non riesce a coniugare la Madonna e la spada. Eppure nella Bibbia la menzione della spada è frequente, la stessa Parola di Dio è denominata come spada a doppio taglio e il Cristo dell’apocalisse appare con una spada a doppio taglio che gli esce dalla bocca. Gli esempi nell’arte sono innumerevoli, in Italia è famoso il ciclo della cripta nella cattedrale di Anagni, a Frosinone.

In una delle volte entro una mandorla siede il Cristo giudice. Regge in una mano sette stelle, simbolo delle sette chiese (e quindi della Chiesa tutta), e nell’altra doppie chiavi (una nera e una bianca) segno di Colui che ha una conoscenza totale: sulle verità palesi e quelle occulte. È il Cristo che apre e che chiude e che quindi offre all’uomo un giudizio certo e inappellabile. Anche la sua canizie vuole indicare la saggezza di cui è ricolmo. Dalla bocca gli esce una spada affilata che sta proprio sopra le stelle, protettiva come un tetto, svettante come una bandiera. È il segno inequivocabile di Cristo che protegge la sua Chiesa ma che anche la sprona a sbilanciarsi verso la Verità, a non scendere a patti con l’eloquenza del dragone infernale. Perciò la spada ha due tagli: ferisce e difende.
Così Dio, con un’immagine semplice e immediata, educa il suo popolo anche alla legittima difesa. Il comando di porre l’altra guancia a chi ti percuote (Lc 6,29), non contraddice quello, benché metaforico, di acquistare la spada qualora non la si abbia (Lc 22,36), chiesto da Cristo stesso.

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Correva l’anno 1412 e la vergine della Difesa apparve nel cielo di Cortina quando barbari del nord varcarono le Alpi per dominare la città. Quello che non seppero fare gli Ampezzani, lo fece Maria: apparendo con la spada in una nube, sgominò i nemici i quali presero a uccidersi l’un l’altro. Nell’affresco, accanto alla Vergine con la spada sguainata, s’innalza una bandiera con la croce, non è una presenza casuale. Eventi di questo genere, dove il popolo di Dio è salvo perché i nemici prendono improvvisamente a uccidersi fra loro, sono frequenti nella storia della salvezza e della Chiesa. Il male ha un morbo interno che lo uccide ed è facilmente vinto dalla forza della verità (la spada) e da una identità forte capace di resistenza (la bandiera). Così, in tempi tumultuosi come i nostri dove la persecuzione ancora divampa, occorre invocare la Vergine che ci aiuti ad esser fieri della Verità e ad astenerci dal qualunquismo che dilaga, difendendo con tenacia la storia che ci appartiene.

Immagini
Chiesa della Madonna della Difesa, Cortina d’Ampezzo, Particolare dell’affresco attribuito a Giovan Battista Tiepolo, La Battaglia del passo di Cimabanche. XVIII sec.
Cripta della Cattedrale di Agnani, Frosinone, affresco del XIII sec, Il Cristo Giudice, particolare.
 
 Da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza

venerdì 22 agosto 2014

Il pesce, il pendolo e una luce per l'umanità

Sul lago di Tiberiade, nei giorni dopo la passione, Cristo appare ai discepoli e chiede del pesce da mangiare. Un notturno tremendo quello che descrive Giovanni, quasi la parabola della Chiesa a venire. Pietro accovacciato al fuoco mentre abbrustolisce un pesce, il Risorto in piedi. Tutti gli altri con gli occhi sgomenti come di chi stenta a credere che quello sia il loro Maestro, crocifisso e risorto. Sant’Ambrogio, scrutando con gli occhi della fede questo episodio, vide nel pesce il simbolo stesso di Cristo, arrostito nel fuoco della passione. Il sostantivo ICTYS (pesce in greco), fin dalle origini della cristianità fu considerato acronimo del nome di Gesù: Iesous Christos Theou Uios Soter, ovvero Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. All’indomani della passione Cristo mostra a Pietro come la Chiesa, assisa alla sua mensa, avrebbe mangiato, nei secoli, il cibo della passione. Così 2000 anni dopo un artista ebreo come Chagall per delineare il dramma di un secolo di persecuzioni realizzò una tra le più suggestive sue opere: il tempo è un fiume senza rive.
 

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Immerso nel blu del mistero campeggia un pendolo, segno dello scorrere del tempo; nelle acque del fiume una barca a remi è condotta da un uomo solitario e, dall’altra parte, una coppia amoreggia sulle rive: siamo noi, tutti noi con i nostri affanni e i nostri amori, quasi incuranti degli incendi di persecuzione che rinfocolano qua e là. Ad avvertirci del fuoco che divampa è il grosso pesce sopra il pendolo, Cristo stesso, le cui pinne sono ali infuocate e dal quale, curiosamente, sbuca un braccio che regge un violino. In Cristo Chagall vede tutti gli ebrei passati dentro il fuoco della persecuzione. Eppure quando dipinge quest’opera (dal 1933 al 1939) la shoah non era ancora iniziata. Proprio per questo, per una sorta di spirito profetico dell’artista, il dipinto è paradigma della persecuzione che travolge ogni generazione con i suoi flutti minacciosi, anche la nostra, anche quella cristiana. Eppure già l’ebreo Chagall intuiva che Cristo trionfa, che Egli sta sopra, sopra i gorghi del male, sopra l’inarrestabile corsa del tempo. Cristo si mostra all’uomo credente con la sua insopprimibile vitalità, con le sue ali di fuoco puntate verso l’eternità. Cristo, soprattutto, mostra al Pietro di ieri e di oggi la via d’uscita: quella simboleggiata dal volino, il cui arco, dopo il quadrante dell’orologio, è l’unico punto lucente del quadro. Sì, la via d’uscita è quella della bellezza, che come ebbe a dire Baudelaire, fa intravedere all’anima gli splendori attraverso la tomba. 

Non è nuova l’arte a simili allegorie, già nel XVII secolo molte nature morte, pur offrendosi allo sguardo come raffinate rappresentazioni di oggetti vari, volevano essere rimando ad altro. È il caso di Georg Flegel nella sua Natura morta con cervo volante.

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 L’artista barocco tedesco, dipinge lo spaccato di una tavola sulla quale vi sono i segni eucaristici del pane e del vino. Questa mensa che si perpetua nei secoli è frutto della passione di Cristo com’è allusivamente indicato dal pesce in primo piano sopra il quale poggia un coltello, simbolo della lancia che ferì il costato di Gesù. Il pesce è minacciato da un cervo volante, chiamato anche scarabeo del diavolo per la sua leggendaria facoltà di spostare, con le chele, tizzoni ardenti con i quali provocare incendi e seminare morte e distruzione. Una presenza discreta osserva la scena, è l’immagine del dio Thor circondato dalle ghiande, che orna una bella brocca collocata nell’angolo destro del dipinto. Questa divinità germanica e soprattutto le ghiande erano simbolo di potenza e di eternità. Così l’apparentemente casuale presenza della brocca d’acqua diventa il segno delle acque salutari del Battesimo per mezzo delle quali Cristo vince il maligno e assicura ai suoi la vittoria sul male e sulla morte.

ImmaginiMarc Chagall, "Il tempo è un fiume senza rive", 1930–1939 Olio su tela 100 x 81 cm Collezione di Kathleen Kapnick, New York
Georg Flegel, "Natura morta con cervo volante" - 1635 – olio su legno di tiglio, cm 25 x 38 Wallraf-Richartz-Museum Colonia, Germania


Da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza


lunedì 18 agosto 2014

La perla, il corallo e il desiderio della bellezza

La cosiddetta Pala di Brera di Piero della Francesca doveva essere più grande dell’attuale, forse il doppio. Tant’è che la conchiglia che orna il catino absidale del dipinto doveva trovarsi al centro dell’opera. La conchiglia veniva così a rappresentare una sorta di nodo mistico tra Cielo e terra, quel nodo mistico che, in fondo, fu la Madonna stessa, creatura capace di generare il suo Creatore.

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La pala celebra una serie di avvenimenti accaduti nella travagliata vita di Federico da Montefeltro attorno all’anno 1472: la nascita dell’erede, Guidobaldo, dopo sei figlie femmine; la morte della Moglie Battista Sforza; la conquista di Volterra. La Vergine e il Bambino rappresentano, infatti, la moglie e il figlio di Federico. L’abside monumentale riprende i disegni di Leon Battista Alberti e nella nicchia, oltre alla conchiglia, sorprende l’oggetto appeso a una catena che molti identificano con un uovo di struzzo. In realtà, nonostante la forma ovale dovuta allo scorcio prospettico, sembra trattarsi di una perla. La conchiglia, o meglio, la Pecten maximus, con la sua perfezione geometria ha affascinato l’uomo fin dall’antichità.

La mitologia greca vuole Venere, dea della bellezza, nata da una conchiglia. Famosa è l’opera di Sandro Botticelli, dove il tema della nascita di Venere è rivisitato dall’artista alla luce del Battesimo. Botticelli racconta, attraverso il recupero dei miti dell’antichità classica, la bellezza innocente dell’anima rinata dalle acque. La forza prorompente del mare, il vento, i giunchi, esili come i capelli di Venere, e la ninfa Ora con la ghirlanda di mirto, simbolo dell’amore perpetuo, sono elementi dal duplice riferimento, cristiano e pagano. Così le rose e la conchiglia se da un lato rimandano alla nascita di Venere, dall’altro sono anche simboli allusivi alla Vergine Maria.


Allo stesso modo Piero della Francesca sembra evocare Efrem il Siro che, nel suo De margarita, associa il simbolo della conchiglia alla Madre di Dio. Nel IV secolo, infatti, si pensava che la conchiglia producesse la perla senza la fecondazione maschile. In realtà la formazione della perla avviene dopo che un granello di sabbia, penetrato nell’alveo della conchiglia, scatena un processo, potremmo dire immunitario, per cui l’ostrica riveste l’intruso di madre perla, dando origine al prezioso gioiello. Ancora di più quindi il simbolo diviene allusivo dell’Incarnazione: anche il Verbo assunse la nostra carne rivestendola, con la sua passione e morte, di immortalità e di grazia.

 
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Se una perla scende a piombo sul capo della Madonna, che ha il volto della moglie defunta, annunciando la risurrezione, un corallo pende al collo di Cristo, che sta come morto fra le braccia della madre. Al corallo si attribuivano proprietà curative ed era perciò considerato un simbolo apotropaico. Sono proprio questi simboli marini a riportarci al mistero della nostra esistenza e a quell’insopprimibile desiderio di verginità e bellezza che in tutte le culture, a dispetto di certa propaganda attuale, sono congiunte eternità e purezza e, dunque, all’anelito di raggiungere Dio.
 
Le immagini  Piero della Francesca (c. 1415 –1492) Pala di Brera 1472-1474 Tempera su panello 248 cm × 150 cm Pinacoteca di Brera, Milano
 
Sandro Botticelli Nascita di Venere 1482–1485 circa tempera su tela 172 cm × 278 cm
Galleria degli Uffizi, Firenze

Da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza