giovedì 22 gennaio 2015

L'agnello, il pallio e la vacuità del male

L’artista inglese Frank Cadogan Cowper ci trascina dentro la prigionia ove, nel 305, il lussurioso figlio del Prefetto aveva confinato la giovane Agnese. Non potendo conquistarne il cuore, totalmente offerto a Cristo, il giovane credette di poter approfittare di lei, costringendola nuda alla prostituzione. Ma ad Agnese, nel postribolo in cui si trovava, i capelli crebbero a dismisura, coprendo le sue nudità e un angelo le portò un abito così lucente da turbare quanti tentavano di unirsi a lei. Il giovane, accecato più dalla brama di vendetta che dalla bellezza della fanciulla, le si accostò per abusarne, ma cadde a terra morto. Il Prefetto, costernato, scongiurò Agnese di restituirgli il figlio. La santa pregò e il ragazzo riebbe vita. Per questo la accusarono di stregoneria, condannandola al rogo. Cowper racconta il martirio con discrezione: ai piedi dell’angelo sprigionano le fiamme del supplizio le quali si divisero risparmiando la vita di Agnese. Il miracolo indispettì a tal punto il suo aguzzino, che la uccise trafiggendole la gola.

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Questo il martirologio, ma allora da dove scaturisce l’iconografia della martire sempre associata all’agnello? La leggenda narra di un’apparizione di Agnese splendente di luce con in braccio l’animale. Così la rappresenta, ad esempio, lo Zurbaran, pittore spagnolo luminista chiamato pittor dei frati per la sua religiosità. Agnese, ritratta di profilo, come era solito fare l'artista, si volge appena verso di noi. Non ci guarda però, abbassando gli occhi sull'agnellino che le riposa in seno. Lo splendore del manto giallo dice la regalità del suo martirio eppure non compare nessuna spada, né l'attributo della palma tipico delle martiri. Zurbaran ritrae la Martire solo con l'agnello e il libro: sintesi estrema della sua vicenda. Agnese mori sgozzata come un agnello per la fedeltà al Verbo Incarnato, a quella Parola che è Cristo stesso. Il suo nome greco Hagnḗ, casta, fu associato al latino Agnus e si collegò, così, la martire all’Agnello che è Cristo. Del resto, l’agnello portato sulle spalle, era l’attributo principale dei Vescovi metropoliti, uniti al papa. Per questo invalse l’uso di porre sulle loro spalle strisce di lana con croci ricamate trafitte da spilli (rimando alla passione di Cristo) detti pallia.

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Non per nulla Cowper colloca a destra del dipinto una stele sulla quale compaiono molti agnelli: il riferimento è, appunto al pallium, indossato anche dall’angelo. In primo piano si vedono pani assaliti da due sorci, simboli di lussuria e di astuzia demoniaca. L’immagine esprime la vacuità del male: i potenti che decretarono la morte della Santa svanirono nel nulla, mentre la memoria di Agnese, dopo 17 secoli, vive ancora. Ogni anno, infatti, il 21 gennaio festa della santa, due agnelli adornati con un manto rosso e uno bianco rimando alla verginità e al martirio della stessa, sono condotti alla basilica di Sant’Agnese fuori le mura, per essere benedetti dal Papa. Con la lana di questi agnelli sono tessuti i pallia che si conservano poi accanto alla tomba di Pietro, memoria confortante di come, nella storia, tutti gli strapoteri periscono mentre non muoiono quanti vivono nella stessa fedeltà a Cristo testimoniata dalla vergine dodicenne.

Immagini
Francisco Zurbaran (1598-1664) Santa Inès, olio su tela, 171x107 cm. 1640-1650 Museo delle Belle Arti di Siviglia.
Frank Cadogan Cowper (1877-1958) Sant’Agnese in prigione riceve dal Cielo abiti bianchi e splendenti, olio su tela, 74.3×45.1cm. 1905 Tate Gallery, Londra

da Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza


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