domenica 29 marzo 2015
L’inferno bianco di Chagall
Il pittore russo Marc Chagall (1887-1985) riflette sulla Bibbia e in modo particolare su Cristo crocifisso, di cui fa la cifra della propria esperienza artistica, denunciando le persecuzioni, i pogrom (distruzione dei villaggi ebrei dell’Europa centro-orientale) e le deportazioni di cui è vittima il popolo ebraico. Cristo è il simbolo del dolore di Israele, di un dramma vissuto tra le macerie, causate dalla follia devastatrice dell’uomo e dalla sua violenza, simbolo della tragedia del mondo, di coloro che subiscono oltraggi, violenze, carcere, morte…
La Crocifissione bianca è uno dei suoi vertici pittorici. L’artista, attraverso riferimenti culturali e simbolici, elaborati a partire dalla sua infanzia vissuta a Vitebsk, in una comunità chassidica, vi esprime le sofferenze del popolo ebraico in un momento che precede di soli pochi mesi la Shoah. Il contrasto tra colori giallo-rossastri, con tonalità bianco-grigiastre, crea uno stridore spettrale, un intenso senso di tragedia. Un grande crocifisso bianco, inchiodato a una gigantesca croce a forma di Tau, campeggia al centro della tela. Cristo appare addormentato sulla croce, il suo volto è reclinato, con gli occhi socchiusi. L’iscrizione I.N.R.I. (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum) compare dietro il suo capo, avvolto da un nimbo bianco: una prima volta scritta in rosso, color sangue, in lettere gotiche, che ricordano i pamphlet antisemiti dei nazisti, una seconda volta in esteso, in lingua ebraica. Un intenso fascio di luce bianca, da cui emerge il corpo del crocifisso, sembra come avvolgerlo e sostenerlo. Cristo, cinto dallo scialle rituale della preghiera, il tallit, porta sul capo un panno, al posto della corona di spine.
Cristo è attorniato da ebrei in fuga, da scene di distruzione, di saccheggi, di disperazione. Chagall mette in scena la violenza nazista, in un crescendo di ferocia inaudita. Tutto parla di morte, di depredazioni, di devastazioni. A destra, le fiamme escono da una sinagoga distrutta. Un uomo in divisa e stivali neri, un nazista, ha appena acceso il fuoco. Sulla strada, un lampadario distrutto a terra e una sedia rovesciata creano ulteriore desolazione e senso di morte. L’arca dell’Alleanza è spezzata, un fumo grigio si solleva da un rotolo della Torah che sta bruciando e i libri di preghiera sono buttati nel fango.
Tutto sembra sprofondare nel caos. Il dipinto è un caos di case capovolte e incendiate, di sedie rovesciate, di tombe profanate. Una donna fugge con il bambino tra le braccia. Un vecchio attraversa le fiamme che si sprigionano dalla Torah, un altro ebreo porta in salvo un rotolo ancora intatto. Un uomo, con una targa bianca appesa al collo, vacilla umiliato. Soldati in preda alla disperazione si sporgono stremati da una barca. Altri chiedono aiuto agitando le mani in alto. Soldati dell’Armata rossa irrompono lontani dalla sinistra del quadro. Come angeli attoniti per lo spettacolo osceno, tre rabbini e una donna sono sospesi sugli incendi.
Sembrano danzare una preghiera nel cielo annerito dal fumo, da nubi che solo il fascio di luce bianca può lacerare. Una danza macabra, che si fa acuto pianto di dolore.
Cristo sembra incarnare nel suo corpo la tragedia che si sta perpetrando, come se con lui fosse inchiodato sulla croce il suo stesso popolo. Il crocifisso diventa simbolo delle atrocità della storia compiute contro di lui. Le punte delle fiamme si sovrappongono al fascio di luce bianca, come se lo violassero, rifrangendosi sul corpo di Cristo. Ai suoi piedi, è posto il candelabro ebraico a sette bracci, la menorah. Una grande scala è appoggiata contro la croce. È forse un invito a scendere dalla croce, per porre fine alla violenza e alla sofferenza?In questa tragedia, Cristo, l’oltraggiato, il perseguitato, l’accusato senza colpa, accende sulla croce una speranza.
È il giusto sofferente che conduce l’uomo all’attesa di una salvezza, attraverso il dolore. Prefigura una rinascita, una riconciliazione, un riscatto. La sua presenza sospende la disperazione. La devastazione provocata da questa apocalisse non può prendere per sempre il sopravvento. L’orrore appare filtrato dallo sguardo di Chagall che, davanti alla tragedia, sembra intonare una preghiera. Se nel mondo ebraico la figura di Cristo è controversa, per Chagall essa è l’archetipo del martire ebreo. Come afferma l’artista stesso: «Non hanno mai capito chi era veramente questo Gesù.
Uno dei nostri rabbini più amorevole che soccorreva sempre i bisognosi e i perseguitati. Gli hanno attribuito troppe insegne da sovrano. È stato considerato un predicatore dalle regole forti. Per me è l’archetipo del martire ebreo di tutti i tempi». La bellezza di Dio diventa la testimonianza di chi incarna una speranza contro il massacro di un popolo.
(Fonte: Avvenire)
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