Un tempo davvero strano quello in cui questo imitatore di Mantegna (per alcuni il Mantegna stesso) colloca l’incontro fra il Risorto e la Maddalena. Un cielo terso primaverile, un alveare che pullula di api bottinatrici come se ne vedono a maggio e ancora, sopra il capo di Cristo, grappoli d’uva già matura, come a settembre. Il Risorto inaugura un tempo che durerà fino alla parusia e abbraccia tutte le stagioni.
Sopra la roccia sepolcrale c’è anche un albero secco, segno di quell’inverno di morte che Cristo ha sconfitto con la sua risurrezione. Né la Maddalena, né il Signore Gesù sembrano preoccupati dello sciame d’api che li circonda, anzi esse sono la principale significazione dell’accaduto. Fin dall’antichità le api erano tenute in gran conto: per Plinio il vecchio, uscendo dall’alveare a primavera, esse sono segno della risurrezione; anche Cristo è uscito dal Sepolcro a primavera dopo aver attraversato l’inverno della morte. Per il Phisiologus le api, che per difendere il miele sacrificano il loro pungiglione e muoiono, sono segno del Cristo Cristo il quale, per darci il suo miele (l’Eucaristia), si è sacrificato per noi. Le api poi sono vergini tutta la vita proprio come Cristo e la sua beata Madre, vivono laboriosamente e proteggono eroicamente l’alveare e la loro regina (o il loro re, cioè Cristo, come interpretavano i Medievali). Abbiamo molto da imparare da questi simboli nascosti nell’arte. Abbiamo da imparare a difendere un po’ più gelosamente il nostro Re, la nostra cultura cristiana, la nostra fede. Abbiamo a difendere un po’ di più l’alveare della Chiesa, che, pur producendo da secoli “miele” di civiltà, oggi (con molti luoghi comuni senza alcuna fondatezza storica, ma pieni zeppi di bugie riprodotte, in un isterico copia incolla, su molti “autorevoli” libri di storia) si vuole conculcare o misconoscere. La Maddalena nella venerazione del suo re si è persino scordata il vasetto di nardo.
È rimasta lì a mani aperte a indicare a tutti la via della salvezza. Il Mantegna, questa volta lui sicuramente, dipinge due arnie, simili a questa, nella predella della Pala di San Zeno proprio dietro al Cristo in agonia nell’orto.
Le ha dipinte come torri minacciose che si levano contro la turba capitanata da Giuda che sopraggiunge da Gerusalemme per catturare il Maestro. Non ci sono ancora le api, perché il momento è segnato dall’inverno dell’agonia, presto però verrà la primavera della risurrezione e le api usciranno. Tuttavia anche qui, nel Getsemani, ci sono frutti e fiori e la vite è nel pieno del suo rigoglio, per significare agli sfiduciati che l’inverno mortifero non è l’ultima parola sull’uomo. La minaccia certo è in agguato: nel Noli me tangere dell’artista Anonimo là, in cima alla vite, c’è una vipera che attenta con il suo veleno un nido pieno di uova. La minaccia è in agguato ma Cristo, giardiniere del mondo, è vigilante. Egli ama la sua piantagione e la fa fruttificare.
ImmaginiNoli me tangere Anonimo (Andrea Mantegna?) 1475-1500 olio su legno 43.9 x 32 cm Londra National Gallery.
Andrea Orazione nell'orto, 70 x 92 cm, Mantegna particolare della Predella Pala di San Zeno, Tours, Musée des Beaux-Arts.
Andrea Orazione nell'orto, 70 x 92 cm, Mantegna particolare della Predella Pala di San Zeno, Tours, Musée des Beaux-Arts.
Fonte: Avvenire, rubrica Dentro la Bellezza
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