venerdì 21 novembre 2014

La Vergine e l'Unicorno, dove è certa la salvezza

Lungo i secoli, l'immagine dell'unicorno, come animale rarissimo, ha accompagnato l'immaginario collettivo al punto tale che anche la scienza non tardò a interessarsene. Si scandagliarono graffiti e referti giungendo alla conclusione che l'unicorno non fu mai esistito. Vero è che di corni dell’unicorno è piena l'Europa e persino la regina Elisabetta ne conservava un esemplare. Benché la scienza abbia le sue ragioni, l'unicorno esiste nell'arte e nella cultura dei popoli con una miriade di significati.
Nell Trittico d'altare della chiesetta in Tonndorf (Turingia) il pannello centrale presenta una singolare annunciazione. La Madonna siede con tranquillità in un sontuoso giardino. La sua compostezza è tale da farla apparire una regina che delicatamente volge lo sguardo a uno strano cavaliere. Si tratta dell’arcangelo Gabriele che, in effetti, pare un guerriero con lancia in resta e corno da cacciatore. La preda è un placido unicorno che riposa sulle gambe della Vergine. Secondo il bestiario medioevale l’unicorno è un animale velocissimo e imprendibile, unico modo per catturarlo è quello di attirarlo con la presenza di una vergine, allora egli si accovaccia mansueto e immobile. Qui, nel Trittico, l’unicorno è Cristo stesso il quale non ha trovato miglior riposo in tutta la terra se non nel grembo della Vergine. Così attorno alla Madonna si sviluppano molti simboli che raccontano del suo candore verginale: il vello di Gedeone, la porta di Ezechiele, la verga di Arone, il vaso d’oro e la fonte sigillata. Ma il simbolo più sorprendente è quello dei quattro cani che accompagnano l’Arcangelo cacciatore; essi recano cartigli con le scritte: pace, verità, giustizia e misericordia. Sono parole contenute nel Salmo 85: «Amore e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo». I cani a caccia di questi beni si arrestano di fronte all’unica preda che potrà fornirli loro: la verità germogliata nel grembo di Maria, il Cristo, e la misericordia che sprigiona dalla sua passione.
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In un manoscritto miniato del XIII secolo l’unicorno, tenuto stretto da una Madonna regina, viene raggiunto e ucciso da uomini armati. Mentre l’unicorno getta un ultimo sguardo, sereno e implorante, alla Madre, tra quest’ultima e il cacciatore in primo piano si svolge un dialogo muto. La Vergine sembra indicare col gesto della mano che proprio quel sangue darà agli uccisori la salvezza, mentre il Cacciatore sembra colpito da una corrente di grazia che gli muta lo sguardo. La sua lancia infatti, è totalmente rossa a differenza delle lance degli altri due cacciatori, come se il sangue di quell’unicorno lo avesse raggiunto proprio attraverso la sua arma. Da questo sangue soltanto sprigiona la misericordia che dà vita.
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Noi, disincantati uomini del Duemila, che sappiamo con certezza come l’unicorno non esista, non sappiamo però indicare nessun luogo dove si possano trovare pace e misericordia, verità e giustizia. La nostra precisione scientifica fallisce di fronte al desiderio di un ordinamento nuovo che salvi la dignità dei singoli e restituisca ai popoli la loro unità nazionale. Bisognerebbe allora tornare a quel simbolo efficace dell’Unicorno, l’unico capace di promettere una salvezza certa che viene dall’Alto.
Immagini: La vergine e l’unicorno Trittico della Chiesa di Tonndorf Turingia. XV sec, olio su tavola, Pannello centrale.
L’uccisione dell’unicorno Codice miniato, Bestiario XII sec. Bodleian Library (Università di Oxford), Oxford, Regno Unito
Fonte: rubrica Dentro la bellezza, da Avvenire

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